giovedì 15 gennaio 2015

Antologie: "Le notti chiare erano tutte un'alba"



Penso che l'antologia Le notti chiare erano tutte un'alba, curata da Andrea Cortellessa e pubblicata da Bruno Mondadori nel 1998, sia un'opera unica nella sua fattispecie; vi sono selezionate e raccolte infatti le poesie italiane che hanno come tema la "Grande Guerra", ovvero il primo conflitto mondiale del XX secolo che ci vide coinvolti direttamente. A quanto ne so, erano già state pubblicate antologie che avevano come argomento portante la guerra, o che mettevano in risalto gli scritti di poeti morti in un evento bellico, ma nessuna di esse può essere equiparata a questa. Qui si possono leggere sia i famosissimi versi di poeti importanti come Giuseppe Ungaretti, Clemente Rebora, Umberto Saba ed altri ancora, sia quelli di scrittori oggi dimenticati (Vittorio Locchi, Carlo Stuparich, Vann'Antò, Manlio Dazzi per citarne alcuni), che però, negli anni successivi alla fine del conflitto, ebbero il loro momento di notorietà. Da notare che, famosi o sconosciuti, quasi tutti questi poeti furono coinvolti direttamente nella guerra di trincea e in parte vittime del fuoco nemico. L'antologia si avvale di una prefazione di Mario Isnenghi ed è divisa nelle seguenti sezioni (tutte presentate e commentate):

Antefatto - La guerra attesa
La guerra-festa
La guerra-cerimonia
La guerra-comunione
La guerra-percezione
La guerra-riflessione
La guerra lontana
La guerra-follia
La guerra-tragedia
La guerra-lutto
La guerra ricordata
Post factum - La guerra postuma

Come si può capire dai titoli delle sezioni presenti, il curatore ha voluto inserire separatamente, in modo più cospicuo ed efficace possibile, le emozioni, le speranze, i sentimenti, le sensazioni, le meditazioni, i rimpianti, le rabbie, i dolori e i ricordi provati direttamente o indirettamente dai poeti che combatterono o videro combattere la Grande Guerra. Fa eccezione l'ultima poesia (di Andrea Zanzotto) il cui contenuto spiega come possa sentirsi e quali pensieri possa avere chi, dopo molti anni dalla fine del conflitto, visita i luoghi dove si svolse la 1° Guerra Mondiale e osserva le sepolture dei soldati caduti.
Ecco infine i nomi dei poeti che sono presenti in questa originale antologia.



LE NOTTI CHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA

Corrado Alvaro, Bruno Aschieri, Giulio Barni, Carlo Betocchi, Ugo Betti, Bino, Binazzi, Giovanni Boine, Massimo Bontempelli, Giuseppe Bottai, Paolo Buzzi, Ferdinando Caioli, Dino Campana, Francesco Cangiullo, Mario Carli, Carlo Carrà, Giovanni Comisso, Primo Conti, Silvio Cremonesi, Auro d'Alba, Gabriele D'Annunzio, Manlio Dazzi, Lionello Fiumi, Luciano Folgore, Carlo Emilio Gadda, Corrado Govoni, Guido Gozzano, Piero Jahier, Vittorio Locchi, Curzio Malaparte, Biagio Marin, Filippo Tommaso Marinetti, Fausto Maria Martini, Armando Mazza, Francesco Meriano, Eugenio Montale, Nicola Moscardelli, Luciano Nicastro, Giacomo Noventa, Arturo Onofri, Nino Oxilia, Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Clemente Rèbora, Umberto Saba, Alberto Savinio, Camillo Sbarbaro, Ettore Serra, Ardengo Soffici, Sergio Solmi, Carlo Stuparich, Enrico Thovez, Trilussa, Giuseppe Ungaretti, Diego Valeri, Vann'Antò, Andrea Zanzotto.




venerdì 9 gennaio 2015

I fantocci nella poesia italiana simbolista e decadente

Fantocci, manichini, burattini e marionette sono personaggi usuali soprattutto nei versi dei poeti crepuscolari; in genere vogliono significare una totale assenza, da parte dei corpi umani, di un'anima, uno spirito vitale che li distingua dai semplici oggetti. Come dice Camillo Sbarbaro nella sua prosa poetica Ai fantoccini meccanici, essi rappresentano e sono la "vita" che, composta soltanto da esseri inanimati, vuoti e ridotti a cose, perde qualsiasi significato, viene svilita, ridotta a pura meccanicità in tutte le sue espressioni.



Poesie sull'argomento

Massimo Bontempelli: "Attaca, bimbo, quattro fili" in "Il purosangue. L'ubriaco" (1919).
Gustavo Brigante-Colonna: "Come mi sento allocco" in "Gli ulivi e le ginestre" (1912).
Enrico Cavacchioli: "Tragedia di burattini" in "Cavalcando il sole" (1914).
Sergio Corazzini: "Dialogo di Marionette" in "Libro per la sera della domenica" (1906).
Federico De Maria: "Fantocci" in "La Ritornata" (1932).
Marco Lessona: "Chiamata" in "Versi liberi" (1920).
Tito Marrone: "Il manichino" in «Vita letteraria», marzo 1907.
Nicola Moscardelli: "Burattinata sentimentale" e "La lettera del burattino" in "Abbeveratoio" (1915).
Aldo Palazzeschi: "Il castello dei fantocci" in "I cavalli bianchi" (1905).
Guido Pereyra: "Canto Sesto" in "Il Libro del Collare" (1920).
Camillo Sbarbaro. "Ai fantoccini meccanici" in "Trucioli" (1920).
Aurelio Ugolini: "Marcia funebre d'una marionetta" in "Viburna" (1905).



Testi

ATTACCA, BIMBO, QUATTRO FILI
di Massimo Bontempelli

Attacca, bimbo, quattro fili
agli estremi d'un'anima sensitiva.

Così. Tira un filo poi l'altro:
vedi alza un piede poi l'altro
si drizza si muove va.

Cammina impettita - scatta.
Quanti angoli - acuti
ottusi - puntuti.
Anima matta.

Allenta quel filo: si china.
Spingila in mezzo, pigia:
apre le braccia come se fosse in croce.

Le giunture scricchiolano
ma l'anima va imperterrita
i membri si stirano
i pezzi si contorcono
ha fatto un giro come un acrobata.

S'è un po' schiantata? non importa
sembrava vera.
                             O vedi vedi gli occhi
piange? ma è vera?
non importa è solo d'anima

su bambino, via i giocattoli
e a letto, se no non si cresce.

(Da "Il purosangue. L'ubriaco")

martedì 16 dicembre 2014

Poeti dimenticati: Sebastiano Satta

Nacque a Nuoro nel 1867 e ivi morì nel 1914. Si laureò in legge e divenne avvocato; nel 1908 fu colpito da una grave malattia che lo paralizzò e quindi ne causò la morte precoce a soli quarantasette anni. Molto vicino alle idee socialiste, spirito romantico, Satta dedicò quasi tutti i suoi versi al popolo sardo, alle sue tradizioni e alle sue realtà. In particolare è il territorio circoscritto della Barbagia che spesso viene descritto dal poeta nuorese; ebbe un pubblico di lettori molto vasto ai suoi tempi e fu molto apprezzato e stimato dai suoi conterranei, divenendo un personaggio mitico. I suoi versi risentono dell'influsso di tre poeti: Carducci, Pascoli e D'Annunzio, che d'altronde furono determinanti e fondamentali per tantissimi giovani scrittori all'inizio del XX secolo.



Opere poetiche

"Versi ribelli", G. Gallizzi, Sassari 1893.
"Ninna nanna di Vindice", Chenna, Torino 1909.
"Canti barbaricini", La vita letteraria, Roma 1910.
"Canti del Salto e della Tanca", Il Nuraghe, Cagliari 1924.





Presenze in antologie

"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 271-272).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 7, pp. 73-80).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 206-208).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 122-126).
"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 486-488).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 159-161).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 771-779).
"Poeti della rivolta", a cura di Pier Carlo Masini, Rizzoli, Milano 1978 (pp. 355-357).
"L'incanto del Natale", a cura di Giuseppe Gamberini, Paoline E. L., Milano 1996 (p. 197).



Testi

VESPRO DI NATALE

Incappucciati, foschi, a passo lento
Tre banditi ascendevano la strada
Deserta e grigia, tra la selva rada
Dei sughereti, sotto il ciel d’argento.

Non rumore di mandre o voci, il vento
Agitava per l’algida contrada.
Vasto silenzio. In fondo, Monte Spada
Ridea bianco nel vespro sonnolento.

O vespro di Natale! Dentro il core
Ai banditi piangea la nostalgia
Di te, pur senza udirne le campane:

E mesti eran, pensando al buon odore
Del porchetto e del vino, e all’allegria
Del ceppo, nelle lor case lontane.


(Da "Canti barbaricini")

domenica 14 dicembre 2014

Antologie: "Poesia italiana del Novecento" (Gelli - Lagorio)

L'antologia "Poesia italiana del Novecento", a cura di Piero Gelli e Gina Lagorio, pubblicata da Garzanti in Milano nel 1980, è stata per me di fondamentale importanza per scoprire e analizzare con grande attenzione una autentica miniera quale è la poesia del nostro paese del XX secolo. Ricordo che questi due volumi, insieme a quello di Mengaldo ("Poeti italiani del Novecento, Mondadori 1978) furono i primi che comperai più di trent'anni or sono; erano, allora, quelli più facili da trovare per chi era interessato alla materia, ma erano anche tra i migliori mai usciti fino a quel momento.
 L'opera direi che è perfetta, a parte le esclusioni ben spiegate nella prefazione dei due curatori. Partendo da Gian Pietro Lucini ed arrivando ai  nati nel 1925, si incontrano nomi di poeti in lingua italiana e in dialetto che meritano di comparire in un'antologia settoriale come questa, la quale riesce ad includerne moltissimi e nello stesso tempo mostra una capacità non comune di presentarli tutti in modo egregio, avvalendosi, per ogni autore, dei commenti (sempre notevoli) di poeti stessi e di critici autorevoli. Passando alla parte bibliografica, direi che anch'essa rasenta la perfezione, sia per quel che riguarda la bibliografia della critica che per la parte dedicata all'elenco delle opere poetiche pubblicate da ciascuno degli scrittori antologizzati. Per tali motivi, ritengo che questi due volumi siano fondamentali per chiunque voglia conoscere e approfondire la materia trattata. Ecco infine l'elenco dei poeti presenti nell'antologia.




POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO, a cura di  Piero Gelli e Gina Lagorio

VOLUME PRIMO
Gian Pietro Lucini, Mario Novaro, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Giovanni Papini, Umberto Saba, Corrado Govoni, Piero Jahier, Dino Campana, Virgilio Giotti, Marino Moretti, Arturo Onofri, Aldo Palazzeschi, Clemente Rebora, Sergio Corazzini, Aldo spallicci, Delio Tessa, Vincenzo Cardarelli, Carlo Michelstaedter, Diego Valeri, Angelo Barile, Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti, Edoardo Firpo, Girolamo Comi, Riccardo Bacchelli, Biagio Marin, Giorgio Vigolo, Eugenio Montale, Adriano Grande, Giacomo Noventa, Carlo Betocchi, Sergio Solmi, Salvatore Quasimodo, Lucio Piccolo, Raffaele Carrieri, Libero De Libero.

VOLUME SECONDO
Sandro Penna, Carolus Cergoly, Cesare Pavese, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Elsa Morante, Antonia Pozzi, Vittorio Sereni, Umberto Bellintani, Piero Bigongiari, Mario Luzi, Daria Menicanti, Alessandro Parronchi, Giorgio Bassani, Albino Pierro, Franco Fortini, Tonino Guerra, Nelo Risi, Margherita Guidacci, Giorgio Orelli, Andrea Zanzotto, Bartolo Cattafi, Luciano Erba, Pier Paolo Pasolini, Elio Filippo Accrocca, Elena Clementelli, Adriano Guerrini, Angelo Maria Ripellino, Roberto Roversi, Rocco Scotellaro, Giovanni Testori, Giovanni Giudici, Alfredo Giuliani, Francesco Leonetti, Maria Luisa Spaziani, Paolo Volponi, Giovanna Bemporad, Cesare Vivaldi.  

martedì 9 dicembre 2014

I fantasmi nella poesia italiana simbolista e decadente

Frequentemente, in queste poesie, si riscontra la presenza del romantico mito dell'Olandese volante e del suo Vascello fantasma: l'attenzione che i poeti rivolgono a tale storia nasce dalla condanna del suddetto Olandese alla navigazione eterna, ovvero ad una lunghissima esistenza tormentata e inutile, proprio come quella dei poeti che ne parlano, prigionieri di un destino da incompresi ed esclusi. In altri casi il fantasma si presenta come una sorta di alter ego e dietro di lui si nasconde la Morte. Spesso i fantasmi, come tradizione vuole, appaiono di notte e svegliano, sconvolgono, impauriscono chi li percepisce e li vede. C'è chi li fugge e chi, al contrario, indaga sui misteri che essi si portano dietro. Naturalmente, non sono assenti le figure dei morti che riappaiono in forma di spettri. In genere i fantasmi rappresentano la paura di qualcuno o di qualcosa (molto spesso della morte) e soltanto di rado hanno a che vedere col desiderio e col sogno.



Poesie sull'argomento

Vittoria Aganoor: "Sotto le stelle" in "Leggenda eterna" (1900).
Vittoria Aganoor: "Visione" in "Poesie complete" (1912).
Gustavo Brigante-Colonna: "Il convento" in "Gli ulivi e le ginestre" (1912).
Giovanni Camerana: "Mattutino", "Dies illa" in "Poesie" (1968).
Luigi Capuana: "A Fasma" in "Semiritmi" (1888).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Il vascello fantasma" in "Poesie" (1912).
Federico De Maria: "L'Altro" in "Voci" (1903).
Giuseppe Del Guasta: "Nei viridarii squallidi è cascata" in «Le Varietà», febbraio 1894.
Marcus De Rubris: "­Fantasma notturno" in "La Veglia" (1910).
Giuliano Donati Pétteni: "Il vascello fantasma" in "Intimità" (1926).
Augusto Ferrero: "Fantasma invernale" in "Nostalgie d'amore" (1893).
Luisa Giaconi: "I fantasmi" in «Il Marzocco», settembre 1897.
Luisa Giaconi: "Una morta" in "Tebaide" (1909).
Arturo Graf: "Fantasmi", "Il vascello fantasma" e "Le vergini morte" in "Medusa" (1990).
Luigi Gualdo: "Fra i monti" in "Le Nostalgie" (1883).
Achille Leto: "Il vecchio pianoforte" in "Piccole ali" (1914).
Gian Pietro Lucini: "La Fantasima" in "Il Libro delle Figurazioni Ideali" (1894).
Marino Marin: "Larva" in «Rivista Romagnola di Scienze, Lettere ed Arti», giugno 1897.
Tito Marrone: "Fantasmi" in "Cesellature" (1899).
Tito Marrone: "I necrofori" in «L'Illustrazione abruzzese», gennaio 1905.
Pietro Mastri: "Fantasmi primaverili" in "L'arcobaleno" (1900).
Antonio Rubino: "Vascello fantasma" in «Poesia», ottobre 1908.
Emilio e Francesco Scaglione: "Visione eroica" in "Limen" (1910).
Emanuele Sella: "Addio" in "Monteluce" (1909).
Domenico Tumiati: "Medium" in "Poesia", novembre/dicembre 1905.
Domenico Tumiati: "Erizia" in "Liriche" (1937).




Testi

FANTASMA NOTTURNO
di Marcus De Rubris

I.

Acque de 'l mare: immobili: senz'onde:
tinte a color di rosa,

che in contro vi stendete a l'infinito
cielo, e con molle posa

v'adagiate tranquille: o voi, bell'acque!,
che a 'l limite marino

v'insinuate in lingue tortuose
ne 'l bacio vespertino

de 'l sol, che dietro i giganteschi monti
rifugia, e che la mite

ombra serale cede: acque de 'l mare!,
o voi, bell'acque!, udite:


II.

Sono più che cent'anni. Ed ogni sera
sovra la rude scheggia,

in che il maniero fosco si drizzava,
un fantasma campeggia:

un solenne fantasma taciturno,
che ne la notte guarda

l'immensità de l'ombre, e par che attenda
l'alba (e così si tarda

la dipartita) per gittarsi a l'onde
de 'l sottostante mare:

Sono più di cent'anni ch'ei si cela
de 'l mar ne l'acque chiare!


* * *

E da più di cent'anni andiam cercando
di quel fantasma arcano

il simbol dubbioso; ma finora
il cercare fu vano.

Non alcuna certezza ancor ci volle
sciolti de la ténebra

che l'intelletto avvince; ma pesante
c'incombe una latébra

d'ignoranza. - La nostr'anima anela
de 'l sapere a le fonti

limpidissime, e va cercando ognora
incogniti orizzonti.


III.

Ne la profonda notte siamo ascesi
per la rupe scheggiosa,

e di là su c'è parso di sentire
un'eco lamentosa:

là mille braccia, verso il ciel protese,
parveci di vedere;

e ci sembrò che tutte s'agitassero
lungo le rupi nere...

* * *

Bell'acque chiare: adamantine: terse:
onde glauche de 'l mare!,

ci dite voi cos'è la grande scena
che ne la notte appare?

(Da "La Veglia")



domenica 7 dicembre 2014

Poeti dimenticati: Emanuele Sella

Emanuele Sella nacque a Valle Mosso nel 1879 e morì a Milano nel 1946. Dopo la laurea in giurisprudenza conseguita a Torino divenne docente di economia in varie università della penisola italiana; fu anche rettore a Perugia ed a Genova. Secondaria fu per lui la passione letteraria, nata sui banchi dell'Uiniversità di Torino, quando frequentò le famose lezioni di Arturo Graf. Pubblicò comunque diverse opere poetiche nell'arco di un quarantennio. Dopo gli inizi che mostrano la sua preferenza per la lirica dannunziana, Sella si dimostrò attratto dal movimento simbolista e dalle tematiche relative alla religione cristiana.



Opere poetiche

"Questo è sogno", Loescher, Roma 1900.
"Il giardino delle stelle", Zanichelli, Bologna 1907.
"Monteluce", Zanichelli, Bologna 1909.
"Rudimentum", Zanichelli, Bologna 1911.
"L'eterno convito", Formiggini, Roma 1918.
"L'ospite della sera", Sonzogno, milano 1922.
"Il flauto d'argento", Amosso, Biella 1932.
"Liriche alla bellezza bruna", Emiliano degli Orfini, Genova 1934.







Presenze in antologie

"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 356-357).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (Tomo primo, pp. 249-261).
"Torino Art Nouveau e Crepuscolare", a cura di Roberto Rossi Precerutti, Crocetti, Milano 2006 (pp. 65-69).




Testi

LO SCEMO E LA LUNA

Lo scemo stette a lungo a vigilare
sotto il livido ciel senz'una stella
e in un singhiozzo rotto disse: - oh bella!
la luna s'è annegata in mezzo al mare,

s'è annegata nel mar la pecorella
che bela e bela nelle notti chiare...
ecco una vela!... eccola che vagella
come la luna!... ed ecco che scompare! -

Così disse e nel cuore sentì un vuoto
indefinito; il mondo? era un inferno;
il mare? un ladro; il cielo? un mostro ignoto:

e minacciò quel mostro con un remo.
- Chi sa perché (gemeva) il Padreterno
fa dei dispetti ad un povero scemo?


(Da "Monteluce", primo sonetto del "Trittico della villanella ignota")

domenica 30 novembre 2014

Dicembre in 10 poesie di 10 poeti italiani del XX secolo

DICEMBRE NELLA STANZA
di Siro Angeli (1913-1991)

Dicembre nella stanza
vuota mi inoltra. Duole
agli occhi quel riflesso
di sole che si insinua

dalle persiane. Sole
sul bianco soffitto
due mosche immote stanno.
Ma la vita continua

dicono. Il raggio fruga
inquieto l'ombra, sfiora
il letto intatto. Dentro
lo specchio c'è una fuga

di oggetti che ti ignorano.
Rigermina, all'inganno
del raggio, una precaria
estate. Ed ebbre, adesso,

le mosche in una danza
d'amore e morte vanno.
La vita è così varia.
D'oro per un momento

palpitano nell'aria;
poi giù sul pavimento
scendono a capofitto
come la mia speranza.

(Da "L'ultima libertà", 1962)





DICEMBRE
di Cesare Angelini (1886-1976)

Dicembre, il mese della santa festa
che ha fatto cristiane anche le nevi:
(ne parla il vento con sussurri brevi
ai sassi del ruscello, alla foresta).

Nel gran racconto, l'anima si desta
succhiando infanzia dai lontani evi.
(Le pievi ne discorrono alle pievi:
la terra tutta è un gran presepe in festa).

Nevica sui villaggi? Nelle veglie
le case tornano intime, sognanti;
le parole han riflessi di conchiglie.

Questa notte Gesù fa compagnia
al povero, al fringuello, al camminante
che come foglia fluttua per la via.

[Da "Autunno (e le altre stagioni)", 1959]





SUL LUNGARNO DI DICEMBRE, TRA UN PONTE E L'ALTRO IN COSTRUZIONE
di Piero Bigongiari (1914-1997)

È l'acqua che ha toccato la Tua mente
questa che scende dolcemente a valle
e muove il remo abbandonato sullo
scalmo come il pensiero al renaiolo.

È l'acqua del diluvio, delle tenebre.
Un blu affligge tenero le strade
poi più intenso è un colore d'uragano.

Da un caffé nel tepore del Lungarno
stendo la mano a Te, Signore delle
acque calme dentro la mandorla
cilestrina dei ponti,
                      lasciata la presa
si piega il timone della mia vita
al filo di queste acque indifferenti
dove il sole annega con luce lunare
un ultimo riflesso del fuoco primo.

Scendono dalla Tua eterna differenza
che nel lago del cuor m'era durata
i primi fuochi ciechi delle rive.

(Da "Le mura di Pistoia", 1958)





DICEMBRE
di Adriano Grande (1897-1972)

Il bel tempo è finito. Ecco a torrenti
dal ciel la pioggia; ed ecco, lamentosi,
dal mar, dai monti, i penetranti vènti.
Ecco la bruma dei pensieri ansiosi.

Questo, o Signore, delle risplendenti
fughe in natura, ove cercai riposi
e n'ebbi invece oscuri stordimenti,
m'avanza solo, nei dì dolorosi.

Sto inginocchiato con la fronte al suolo,
ma a Te non basta. Anche il mio pentimento
non dà riparo, lacero mantello.

Nell'antica miseria, al gelo e al duolo
rabbrividisco. Il nuovo smarrimento
lungi dal nembo, è il fuggir d'un uccello.

[Da "Poesie (1929-1969)", 1970]





DICEMBRE
di Carlo Michelstaedter (1887-1910)

Scende e sale senza posa
nebbia e pioggia greve e scura,
nella nebbia la natura
si distende accidiosa.

Goccia, goccia lieve chiara
va sicura al suo destin
scende e spera, e vanno a gara
altre gocce senza fin.

Giù l'attende terra molle
dove all'altre unita va
a formar le pozze putride
per i campi e le città.

Nella pozza riflettete
gocce unite in società
grigio in grigio terra e cielo
per i campi e le città.

Ma la noia il disinganno
fa le gocce sollevar
ed il bene che non sanno
van col vento a ricercar.

Dalle pozze dalle valli
sale il velo e in alto va,
non ha forma né colore
l'affannosa umidità.

Nella nebbia la natura
si distende accidiosa,
scende e sale senza posa
pioggia e nebbia fastidiosa.

(Da "Scritti", 1912)





DICEMBRE
di Nicola Moscardelli (1894-1943)

La cenere soffiata dal vento
si spande sulla soglia della casa
ove i mendicanti passando
scrivono pace con la punta del bastone
ma sotto l'ala dei grandi cappelli
grumi di rughe si sciolgono in lacrime.

(Da "Foglie e fiori", 1937)





MATTINA DI DECEMBRE
di Luigi Siciliani (1881-1925)

La nebbia che copriva e terra e cielo
a poco a poco intorno si dirada.
Ecco, tondeggia in mezzo al verde cupo
delle sue foglie il giallo degli aranci.
È nata l'erba; il suolo n'è coperto.
Qua marciscono, a piè dei loro gambi
pieni di foglie accartocciate e grigie,
abbattuti i notturni gelsomini;
là i crisantemi sembrano percossi
da una gran doglia e abbassano la loro
capellatura sotto il grave peso
dell'acqua che ne preme e steli e foglie.
Solo le rose ridono, là bianche,
qua porporine, a salutare il sole.

(Da "Arida nutrix", 1920)





DICEMBRE A PORTA NUOVA
di Leonardo Sinisgalli (1908-1981)

Mi raccoglie nel suo gomito
Inerte la fredda sera d'autunno.
Scorre deserta sulle foglie
E mi ridesta a ogni tonfo 
Dei castagni. Tutto il bene
Che mi resta forse è in quest'ora
Calma che si accerta,
A questa svolta che si gonfia
D'acque perché la ripa si fa stretta.
Poi rotta la dolcezza dell'indugio
OgnI cosa decade con più fretta 
E non mi duole l'alito d'ombra 
Che mi gela la fronte. 
Sopra la spalletta curvo
Mi assale il vento dalla buca del ponte.

(Da "Vidi le muse", 1943)





DICEMBRE
di Diego Valeri (1887-1976)

Tristi venti scacciati dal mare
agitavano la città notturna.
Da nere gole aperte tra le case
rompevano, invisibili
ombre, con schianti ed urla;
si gettavano per le vie deserte
ferme nel bianco gelo dei fanali,
urtavano alle porte
sbarrate, s’abbrancavano alle morte
rame d’alberi dolenti,
scivolavano lungo muri lisci,
dileguavano via, serpenti,
con fischi lunghi e lenti strisci...

Ora mi sporgo all’attonita pace
della grigia mattina: tutto tace.
Teso il cielo di pallide bende.
Il gran cipresso, assorto, col suo verde
strano, nell’alta luce. Un coccio lustra
tra la terra bruna dell’orto.
Finestre senza tende, cupe,
guardano intorno. Non c’è voce umana,
grido d’uccello, rumore di vita,
nell’aria vasta e vana.
C’è solo una colomba,
tutta nitida e bionda,
che sale a passi piccoli la china
d’un tetto, su tappeti
fulvi di lana vellutata, e pare
una dolce regina
di Saba
che rimonti le silenziose scale
della sua fiaba.

(Da "Poesie", 1962)





TRE DICEMBRE
di Giorgio Vigolo (1894-1983)

La mattina che nacqui,
grigia e fredda di un tre dicembre,
il plumbeo cielo di neve
echeggiava di salve lontane,
(mi hanno detto, per non so quale
festa d'armi) e di là dal fiume
giungevano i colpi
sugli alberi del Lungotevere
al palazzetto di pietra serena.
Pareva che battesse un cuore
dentro a quel livido cielo di nuvole,
il mio piccolo cuore che palpitava
per lo spavento di nascere.

A forza d'immaginarla
mi ricordo di quella mattina;
alle origini d'ogni memoria
mi pare traudire in un sogno
remoto dal fondo
degli anni quel rombo,
quel cupo rintocco del cuore
che sempre ha battuto da allora,
che palpita ancora, che intona
i preludi del divenire.

(Da "La luce ricorda", 1967)