domenica 17 febbraio 2013

La piazza e gli aranci tutti accesi

La piazza e gli aranci tutti accesi
con frutti rotondi e ridenti.

Baraonda di piccoli scolari
che, all'uscita sfrenata della scuola,
empiono l'aria della piazza in ombra
col gridio delle loro voci nuove.

Allegria d'infanzia ai cantoni
delle città morte!...
E un nostro qualcosa di ieri che ancora
vaga, vediamo, per queste vecchie strade.


(Antonio Machado)
Da "Poeti del Novecento italiani e stranieri", Einaudi, Torino 1960
 





Questa poesia di Machado stimola il pensiero a tuffarsi nei ricordi lontani, probabilmente per molti i più belli della vita intera: quelli dell'età infantile; a quanti succede di ripensarci (con rimpianto indicibile) ancora oggi, ogni volta che, per caso o per intenzione, capita di ripassare davanti all'istituto scolastico nelle cui aule si è passato lungo tempo, da bambini. Ritornano alla mente tante cose ormai perdute per sempre, irripetibili come l'allegria pura, sincera e grande che nasceva da situazioni semplici, da pensieri e da entusiasmi che solo i bambini possono vivere. Quello che dice il poeta è verità: in quei momenti, in quei luoghi precisi esiste "qualcosa di noi", appartenente al "nostro" passato remoto, che ancora vaga: allora, leggendo questi stupendi versi, molti si rivedranno bambini, uscire dalla scuola e correre felici verso la casa dei genitori o dei nonni, desiderosi di giochi e di emozioni puerili.


venerdì 15 febbraio 2013

Poeti dimenticati: Vincenzo Gerace


Vincenzo Gerace nacque a Cittanova di Calabria nel 1874 e morì a Roma nel 1930. Figlio di un magistrato, già da bambino seguì gli spostamenti del genitore dovuti al suo lavoro; i suoi studi si svolsero a Catania e a Palermo, in quest'ultima città cominciò a collaborare a qualche rivista e a pubblicare le sue prime opere poetiche. Trasferitosi a Roma, diede alle stampe il romanzo La grazia (1907) che ebbe buoni consensi di critica. Nel frattempo aveva stretto amicizie importanti con poeti (Mario Rapisardi) e filosofi (Benedetto Croce) che influenzarono molto il suo pensiero. Si stabilizzò poi a Napoli, dove lavorò come bibliotecario; in seguito fu di nuovo a Roma e quindi a Bari, dove per breve tempo professò l'insegnamento. Nel 1926 ricevette il prestigioso premio di poesia dell'Accademia Mondadori grazie ad un'opera, La fontana nella foresta, che sarebbe stata pubblicata due anni dopo. La poesia di Gerace, che ebbe i suoi massimi riconoscimenti all'interno del terzo decennio del XX secolo, è decisamente legata al passato e si rifà in particolare ai grandi classici italiani e greci.



Opere poetiche

"La fonte della vita", Sandron, Palermo 1901.
"Versi", Nuova Antologia, Roma 1921.
"Versi", Bestetti e Tumminelli, Roma 1926.
"La fontana nella foresta", Mondadori, Milano 1928.
"Scherzi ed epigrammi", Bestetti e Tumminelli, Roma 1928.
"Variazioni musicali", La Prora, Milano 1934.



Presenze in antologie

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 3, pp. 109-121).
"L'Adunata della poesia", 2° edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. CCLXXXX-CCLXXXXVI).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 114-121).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 246-247).
"La lirica moderna", a cura di Francesco Pedrina, Trevisini, Milano 1951 (pp. 528-533).
"Antologia della Poesia Italiana Cattolica del Novecento", a cura di Mario Nanteli, UPSCI, Roma 1959 (pp. 100-102).




Testi

SIMBOLO

O piccolo grillo che zirli
fra l'erbe dell'umido prato,

di te vagamente si piace
tacendo a l'intorno il creato:

si tacciono i venti, si tace
fra' lidi l'immenso oceano,

e t'odon le stelle brillando
da l'alto con tremito arcano.

Che cosa la notte sarebbe
privata de' flauti leggeri

che suoni tu sì volentieri
perduto nell'ombra del prato?

(Da "La fontana nella foresta")

martedì 12 febbraio 2013

Poeti italiani dimenticati tra il XIX ed il XX secolo


Vi è un folto gruppo di poeti italiani che pubblicò libri di versi tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, e che rimane sempre (o quasi) escluso dalle antologie della poesia italiana, sia che riguardino il XIX secolo, sia il XX secolo. Eppure questi scrittori ebbero, ai loro tempi, un vasto pubblico di lettori e non gli mancarono neppure i consensi e i giudizi favorevoli di critici insigni; a qualcuno di loro non fu perdonato l'appoggio (in alcuni casi quasi velato) al regime fascista, altri caddero ben presto nel dimenticatoio o furono ritenuti dagli addetti ai lavori, una sorta di emulatori della poesia ottocentesca quando questa era ormai fuori tempo massimo. Al di là di questi discorsi e delle ragioni, probabilmente anche giuste, per cui questi poeti sono stati e sono tutt'ora esclusi da qualsiasi repertorio poetico recente riguardante i due secoli appena trascorsi, è a mio avviso doveroso ricordarli, per lo meno in quanto "meteore" o "lampi" di un'epoca (quella a cavallo dei due secoli prima citati) forse poco ricordata in generale dai testi di storia letteraria italiana. Rammenterei poi un aneddoto interessante: quando Giovanni Papini e Pietro Pancrazi nel 1920 fecero uscire la famosa antologia da loro curata Poeti d'oggi, molti furono i critici autorevoli che lamentarono l'assenza nella suddetta selezione antologica di alcuni poeti e scrittori, tra questi vi erano letterati come Giovanni Bertacchi, Giovanni Cena, Francesco Gaeta, Pietro Mastri, che, a grande richiesta, trovarono poi spazio nella seconda edizione (1925) dell'antologia suddetta. Ecco infine l'elenco, comprendente una breve biobibliografia, dei poeti in questione.



GIOVANNI BERTACCHI (Chiavenna 1869 - Milano 1943). Dal 1916 al 1938 fu docente di letteratura italiana nell'Università di Padova, scrisse vari studi tra i quali spiccano quelli su Leopardi e su Dante Alighieri. I suoi libri di poesie sono: Il canzoniere delle Alpi (1895), Poemetti lirici (1898), Liriche umane (1903), Alle sorgenti (1906), A fior di silenzio (1912), Riflessi di orizzonti (1921), Il perenne domani (1929).

GIOVANNI CENA (Montanaro 1870 - Roma 1917). Fu giornalista, narratore e poeta; ricoprì per lungo tempo l'incarico dei Redattore-Capo nella rivista letteraria "Nuova Antologia". Pubblicò i seguenti volumi di versi: Madre (1897), In umbra (1899) e Homo (1907); postumo uscì il libro delle sue Poesie complete (1922).

GIOVANNI ALFREDO CESAREO (Messina 1860 - Palermo 1937). Poeta, drammaturgo, critico letterario e docente universitario, fu tra l'altro socio dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo e socio corrispondente dell'Accademia della Crusca. Opere poetiche: Sotto gli aranci (1881), Le Occidentali (1887), Gl'inni (1895), Le consolatrici (1895), Poesie (1912), I canti di Pan (1920), Poemi dell'ombra (1923), Colloqui con Dio (1928).

ADOLFO DE BOSIS (Ancona 1863 - Pietralacroce 1924). Diresse la rivista "Il Convito", tradusse l'opera di Shelley e compose versi raccolti nei seguenti volumi: Amori ac silentio sacrum (1900), Amori ac silentio e Le Rime sparse (1914).

FRANCESCO GAETA (Napoli 1879 - ivi 1927). Giornalista e poeta oltre che critico (si occupò dell'opera di Salvatore Di Giacomo), fu direttore della rivista "I Mattaccini". Pubblicò le seguenti opere poetiche: Il libro della giovinezza (1895), Reviviscenze (1900), Sonetti voluttuosi e altre poesie (1906), Poesie d'amore (1920); fu Bendetto Croce a curare in edizione postuma le sue Poesie (1928).

DIEGO GAROGLIO (Montafia 1866 - Asti 1933). Letterato e insegnante, fu collaboratore delle riviste "Vita Nuova" e " Il Marzocco"; poeta dalla vena facile, pubblicò numerose raccolte, tra le quali: Poesie (1892), Poesie sorrentine (1893), Due anime (1898), Elena (1901), Canti sociali (1904), Sul bel fiume d'Arno (1912), Umanità (1922), Canti di Pietramala (1930), Canti delle Dolomiti (1930), La villa, il Parco, il podere (1930).

COSIMO GIORGIERI CONTRI (Lucca 1870 - Viareggio 1943). Fu poeta, narratore e drammaturgo; collaborò a molte riviste tra le quali "Nuova Antologia", "Hermes", "La Riviera Ligure", "La Lettura". Le sue poesie si trovano nei volumi: Versi tristi (1888), Il convegno dei cipressi (1895), Primavere del desiderio e dell'obio (1903), La donna del velo (1905), Mirti in ombra (1913), Il convegno dei cipressi e altre poesie (1922).

MARINO MARIN (Corcrevà di Bottrighe 1860 - Adria 1951). Ebbe un incarico importante nel comune di Adria che ricoprì per lungo tempo; collaborò al "Marzocco" ed a "Nuova Antologia". Pubblicò i seguenti volumi di versi: Humus (1892), Sonetti secolari (1896), Voci lontane (1898), Luci e ombre (1904), Narciso (1907), Le Opere e i Giorni (1920), Espiazione (1923), Rassegnazione (1927), La voce della gran Madre Antica (1933).

PIETRO MASTRI (Pirro Masetti, Firenze 1868 - ivi 1932). Poeta ed avvocato, collaborò alle riviste "Il Marzocco", "Nuova Antologia" e "Vita Nuova". Opere poetiche: Frammenti poetici (1893), L'arcobaleno (1900¹, 1920²), Lo specchio e la falce (1907), La meridiana (1920), La fronda oscillante (1923), La via delle stelle (1927), Ultimi canti (postumo, 1933).

ADA NEGRI (Lodi 1870 - Milano 1945). Inizialmente maestra elementare, trovò la fama dopo le prime opere poetiche: Fatalità (1892) e Tempeste (1895), cui seguirono: Maternità (1904), Dal profondo (1910), Esilio (1914), Il libro di Mara (1919), I canti dell'isola (1924), Vespertina (1930), Il dono (1935); postumo uscì un volume che raccoglie la sua intera opera in versi: Poesie (1948).

ANGIOLO ORVIETO (Firenze 1869 - ivi 1968). Poeta, saggista, librettista e drammaturgo, fu cofondatore della "Vita Nuova" e del "Marzocco"; scrisse molti versi raccolti nei volumi: La sposa mistica (1893), Sposa mistica. Il velo di Maya (1898), Verso l'Oriente (1902), Le sette leggende (1912), Primavere della cornamusa (1925), Il vento di Sion (1928), Il gonfalon selvaggio (1934).

FRANCESCO PASTONCHI (Riva Ligure 1874 - Torino 1953). Poeta, narratore e drammaturgo, dopo la laurea insegnò letteratura all'università di Torino. Opere poetiche: Saffiche (1892), Aurei distici (1895), La giostra d'amore e Le canzoni (1898), Italiche (1903), Belfonte (1903), Sul limite dell'ombra (1905), Il pilota dorme (1913), Il randagio (1921), Italiche. Nuove poesie (1923), Versetti (1930), Rime dell'amicizia (1943), Endecasillabi (1949).

DOMENICO TUMIATI (Firenze 1874 - Bordighera 1943). Poeta e drammaturgo, collaboratore del "Marzocco" della "Lettura" e di "Nuova Antologia", pubblicò i seguenti volumi di versi: Iris Florentina (1895), Musica antica per chitarra (1897), Poemi lirici (1902), Musiche perdute (1923) e il riassuntivo Liriche (1937).

domenica 10 febbraio 2013

Antologie: "Poesia italiana dell'Ottocento" (Muscetta-Sormani)


Prima di tutto bisogna dire che "Poesia italiana dell'Ottocento", a cura di Carlo Muscetta ed Elsa Sormani (Einaudi, Torino 1968), è un'opera molto bella a vedersi: due tomi di 14 x 21,5 cm., di oltre mille pagine ciascuno, con copertine in tela e una custodia in cartoncino e con, all'interno dei tomi, vari disegni di famosi artisti italiani. È, cronologicamente parlando, l'ultima prestigiosa antologia dedicata ai poeti italiani dell'Ottocento che si aggiunge a quelle di Ferruccio Ulivi,  Angelo Romanò, Ettore Janni, Luigi Baldacci e Giuseppe Petronio. Vi compaiono i testi di un po' tutti i grandi poeti ottocenteschi, anche se non mancano alcune clamorose esclusioni. Ecco, di seguito a questo breve commento, l'elenco dei poeti presenti nell'antologia "Poesia italiana dell'Ottocento".





I. FRA NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO
Vincenzo Monti, Ugo Foscolo.


II.
Carlo Porta


III. MANZONI E I ROMANTICI CATTOLICO-LIBERALI
Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Bartolomeo Sestini, Andrea Maffei, Luigi Carrer, Saverio Baldacchini, Pietro Paolo Parzanese, Giovanni Prati.  


IV. 
Giuseppe Gioacchino Belli.


V.
Niccolò Tommaseo


VI. BERCHET E LA SCUOLA DEMOCRATICA
Giovanni Berchet, Gabriele Rossetti, Giovita Scalvini, Alessio Poerio, Goffredo Mameli, Domenico Carbone, Luigi Mercantini, Francesco Dall'Ongaro, Ippolito Nievo.


VII. GIUSTI E LA POESIA GIOCOSA E SATIRICA
Giuseppe Giusti, Filippo Pananti, Giulio Perticari, Giovanni Giraud, Antonio Guadagnoli, Arnaldo Fusinato, Francesco Proto, Antonio Baratta, Giovanni Visconti-Venosta, Vincenzo Riccardi di Lantosca, Edmondo De Amicis, Ettore Novelli.


VIII. TRAMONTO DEL CLASSICISMO
Paolo Emilio Castagnola, Giambattista Maccari, Giuseppe Maccari, Diego Vitrioli, Gioacchino Pecci (Leone XIII), Giacomo Zanella, Alinda Bonacci Brunamonti, Giuseppe Revere, Costantino Nigra, Vittorio Betteloni.


IX. TARDO ROMANTICI, SCAPIGLIATI E VERISTI
Vincenzo Padula, Aleardo Aleardi, Giuseppe Giacosa, Antonio Fogazzaro, Mario Rapisardi, Giuseppe Aurelio Costanzo, Bernardino Zendrini, Emilio Praga, Iginio Ugo Tarchetti, Arrigo Boito, Ferdinando Fontana, Contessa Lara, Domenico Milelli, Olindo Guerrini, Renato Fucini, Cesare Pascarella, Ferdinando Russo, Pompeo Bettini.


X.
Salvatore Di Giacomo.


XI.
Giosue Carducci.


XII. CARDUCCIANI E BIZANTINI
Vittorio Imbriani, Giovanni Rizzi, Felice Cavallotti, Giuseppe Chiarini, Giacinto Ricci-Signorini, Guido Mazzoni, Giovanni Marradi, Severino Ferrari, Enrico Nencioni, Enrico Panzacchi, Giulio Salvadori, Luigi Gualdo, Remigio Zena.


XIII. INNI STORICI
Goffredo Mameli, Luigi Mercantini, Filippo Turati.


venerdì 8 febbraio 2013

I colori nella poesia italiana decadente e simbolista

Fondamentale è l'importanza dei colori, soprattutto pensando alla psicologia per la quale la percezione di un colore da parte dell'occhio umano rappresenta un fatto rivelatore, che nasce da una profonda elaborazione delle nostre emozioni. Secondo il pensiero di alcuni pittori il colore è un mezzo col quale è possibile stimolare in modo diretto l'anima; cosicchè, un assemblaggio armonico di colori, così come è avvenuto e tutt'ora avviene nella creazione di molte tele famose, assume un concentrato di alta spiritualità in grado di stimolare l'anima dell'uomo, permettendole di raggiungere una sorta di estasi ultraterrena. Per ciò che concerne la poesia simbolista, è bene ricordare che ogni colore fa riferimento a simboli precisi e che, soprattutto alcuni come il bianco ed il rosso sono stati preferiti rispetto agli altri da questi poeti. Per tale motivo si elencano di seguito le sole poesie che non comprendono i colori citati, ai quali dedicherò un capitolo a parte.
 
 


Poesie sull'argomento
Mario Adobati: "I colori dell'esilio" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Fausto M. Bongioanni: "Lampada verde" in "Venti poesie" (1924).
Luigi Fallacara: "Azzurro" in «Lacerba», febbraio 1915.
Corrado Govoni: "I registri del verde" e "Oro e violetto" in "Le Fiale" (1903).
Corrado Govoni: "Sinfonia di grigio" in "Armonia in grigio et in silenzio" (1903).
Corrado Govoni "Il verde", "Il giallo", "L'azzurro" e "Il nero" in "Gli aborti" (1907).
Tito Marrone: "Sonetto grigio" in "Cesellature" (1899).
Pietro Mastri: "L'acacia rosa" in "La fronda oscillante" (1923).
Arturo Onofri: "Dalla zuffa fra i gialli e fra gli azzurri" in "Simili a melodie rapprese in mondo" (1929).
Nino Oxilia: "Studio di bianco e nero" in "Gli orti" (1918).
Aldo Palazzeschi: "Festa grigia" in "Lanterna" (1907).
Aldo Palazzeschi: "Mar Giallo" in "Poemi" (1909).
Alice Schanzer: "Canto grigio" in "Motivi e canti" (1901).
Domenico Tumiati: "Canepa verde" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Mario Venditti, "Nero e blu" in "Il cuore al trapezio" (1921).
Giuseppe Villaroel: "Sfumatura" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).
 
 


Testi
SFUMATURA
di Giuseppe Villaroel

Cancello di stagno.
Dal muro nerognolo
penzola sulla strada
la chioma bruna e scarmigliata
dell'edera
che gronda ancora le lacrime
della tempesta
passata.
Brivido rosso e carnale
di rose lungo il verde viale
della Candida villa
aperta al tramonto lilla
tutto fresco e lavato;
ma lievemente venato
di giallo.
E sulla veranda di cristallo,
il tremore della tua veste
leggera
di seta celeste
sfuma la dolce stanchezza
della sera
diffusa in questa convalescenza azzurra
di tutta la primavera.

(Da "La tavolozza e l'oboe")

mercoledì 6 febbraio 2013

Un ricordo di Sergio Corazzini


Sergio Corazzini è considerato il poeta principe, insieme a Guido Gozzano, della corrente poetica denominata "crepuscolarismo"; La sua figura, unica e imparagonabile, è stata a volte mitizzata per motivi che sono riconducibili alla sua brevissima esistenza (morì a soli ventuno anni di tisi) e al suo immenso talento poetico che gli permise di ottenere risultati straordinari nei pochi anni in cui potè dedicarsi intensamente alla scrittura di versi che lo pongono al vertice di tutta la poesia italiana novecentesca e non solo. Le prime poesie di Corazzini, alcune delle quali in dialetto romano, apparvero su riviste come "Pasquino", "Rugantino", "Marforio" e "Capitan Fracassa". La sua prima raccolta poetica uscì nel 1904 col titolo "Dolcezze", chiaro riferimento ad una sezione delle "Myricae" di Giovanni Pascoli; seguirono "L'amaro calice" (datato 1904 ma pubblicato nel 1905), "Le aureole" (1905), "Piccolo libro inutile" (comprende poesie di Alberto Tarchiani, 1906), "Elegia" (frammento, senza data ma 1906), "Libro per la sera della domenica" (1906). Tutti questi libriccini ebbero come editore la Tipografia cooperativa operaia romana. La malattia che colpì Corazzini già dall'adolescenza peggiorò velocemente e il poeta, prima di morire nel giugno del 1907, fece in tempo a pubblicare qualche altra poesia su rivista. Un primo volume che raccoglie gran parte della sua opera in versi uscì postuma nel 1908 ("Liriche", Ricciardi, Napoli); soltanto nel 1968 venne stampato da Einaudi, in Torino, un libro con le "Poesie edite e inedite".
Per quello che riguarda i poeti che più influenzarono Corazzini, oltre al già citato Giovanni Pascoli si possono aggiungere anche gli italiani Gabriele D'Annunzio (ma solo quello del "Poema paradisiaco"), Domenico Gnoli (alias Giulio Orsini), Cosimo Giorgieri Contri, Corrado Govoni e Tito Marrone. Tra i poeti stranieri molta importanza ricoprirono per lui i tardo simbolisti franco-belgi come Maurice Maeterlinck, Francis Jammes, Jules Lafourge, Georges Rodenbach, Albert Samain, nonchè un poeta fondamentale che fu riferimento per generazioni di poeti: Paul Verlaine.
Corazzini influenzò anche altri poeti romani che ebbe come amici, coi quali organizzò un vero e proprio cenacolo in Roma, dove avvenivano incontri e declamazioni di versi che sono stati ricordati in alcuni saggi dagli stessi protagonisti di questi eventi. Tra i poeti che fecero parte di questo cenacolo, molti dei quali non pubblicarono mai libri di poesie, si possono citare: Alessandro Benedetti, Umberto Bottone, Antonello Caprino, Giuseppe Caruso, Stefano Cesare Chiappa, Giorgio Lais, Remo Mannoni, Guido Milelli, Guido Ruberti, Alberto Tarchiani, Alfredo Tusti, Donatello Zarlatti, Mario Zarlatti. Accanto a questi si ricordano i nomi più importanti di Fausto Maria Martini, Corrado Govoni e Tito Marrone; senza tralasciare il fatto che Corazzini fu amico di poeti che non vivevano a Roma come Aldo Palazzeschi e Marino Moretti, coi quali stabilì dei rapporti epistolari recensendo anche qualche loro opera poetica (mi riferisco a "I cavalli bianchi" di Aldo Palazzeschi). Voglio concludere questo ricordo di Sergio Corazzini trascrivendo la sua poesia più famosa, la sublime "Desolazione del povero poeta sentimentale", capolavoro assoluto che contiene dei versi non paragonabili ad altri per sincerità e bellezza.


Sergio Corazzini (1886-1907)


DESOLAZIONE DEL POVERO POETA SENTIMENTALE


I

Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?



II

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te
arrossirei.
Oggi io penso a morire.



III

Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tremare d’amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.


Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.



IV

Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l’aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.



V

Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.



VI

Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.



VII

Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.



VIII

Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.



lunedì 4 febbraio 2013

Da "Meditazioni e ricordi" di Sergio Solmi

Penso a volte che l'inclinazione alle lettere, la malaugurata e pur consolatrice disposizione per il pensiero o la poesia cominci sempre a manifestarsi con una sorta d'infantile amore, quasi direi fisico, per la carta stampata, e magari per il formato dei libri e la loro rilegatura, e fino per il colore e la grana della loro carta. Per questo nella malinconica passione dei collezionisti mi sembra sempre d'intravvedere qualcosa come un lontano principio di poesia. Credo anch'io che si tratti d'anime delicate e modeste, che forse un tempo vagheggiarono la creazione letteraria, ma un rassegnato pessimismo convinse invece ad ascoltare in silenzio le voci musicali e fievoli che si levano dalle vecchie carte.

(Da "Meditazioni e ricordi", tomo secondo dell'opera "Poesie, meditazioni e ricordi" di Sergio Solmi, Adelphi, Milano 1984)