domenica 9 dicembre 2012

Notte di Natale

Ardon gli astri nell'ombra e le campane
si rispondono querule e sonore;
così una voce piange in fondo al cuore
per desiderio di cose lontane.

Oh avere adesso in questa greve festa
notturna che di buon incenso tepe
una piccola valle di presepe,
anche di cera, anche di cartapesta.

Aver magari tutto un paesaggio
di Terrasanta coi laghi di vetro,
le pie casette col lumino dietro
e la stella che in alto fa viaggio;

e ascoltare con l'anima che sogna
la musica improvvisa che s'aduna
semplicemente, dietro un soffio, in una
esiliata anima di zampogna;

mentre ardon gli astri e piangon le campane
e le finestre sono tanti lumi...
(oh dolce cuore perché ti consumi
in desiderio di cose lontane?).

Sì, sì, anche giocattoli! Oh la chiara
stanza dove una mano frettolosa
e occulta preparò la bella cosa,
la bella cosa che or non più si prepara!

Non le piccole sfere di cristallo
o tremule d'argento né le stelle
di talco ardenti come ceri, quelle
piccole zone d'oro e di metallo...

Ardono gli astri, ed ecco le campane.
Salgon le nebbie pallide dai fiumi.
O dolce cuore, perché ti consumi
in desideri di cose lontane?

(Da "Poesie scritte col lapis" di Marino Moretti, Mondadori, Milano 1970)



 
 
Ecco una poesia tipica del primo Marino Moretti: quello più crepuscolare. È tutta pervasa dalla nostalgia di vecchie usanze e di passati entusiasmi che caratterizzavano, un secolo fa, la festa del Natale. L'occasione al poeta è data dall'annuale ripresentarsi della ricorrenza, coi suoi inconfondibili suoni e le sue tradizionali immagini, in un tempo in cui l'uomo ha perduto tutti gli slanci per quelle cose estremamente coinvolgenti quando si vivono in età infantile. Allora non rimane che ricordare quei fantastici momenti di felicità, elencando gli oggetti tanto cari e mai dimenticati: il presepe fatto di elementi semplici e poveri, i lumini, i giocattoli, le sfere di cristallo, le stelle di talco... È in tal modo (e soltanto in questo) che Moretti riesce illusoriamente a rivivere un tempo ormai lontano e irripetibile: quello del Natale dei bambini.

sabato 8 dicembre 2012

Poeti dimenticati: Alfredo Petrucci

Alfredo Petrucci nacque a San Nicandro Garganico nel 1888 e morì a Roma nel 1969. Dopo la laurea in Lettere ottenuta a Napoli, si trasferì nella capitale italiana dove, nel 1941, venne insignito del prestigioso incarico di direttore del Gabinetto Nazionale delle Stampe di Roma che ricoprì per dodici anni. Storico dell'arte, incisore e scrittore, Petrucci è autore di numerosi saggi sulla storia dell'incisione europea e dell'arte italiana; scrisse anche elzeviri, prose e poesie. Queste ultime, raccolte in vari volumi, mostrano un carduccianesimo iniziale che via via si evolve a favore di poetiche più moderne e dell'ermetismo in particolar modo.
 
 
 
Opere poetiche
"Ruit hora", Perrella, Napoli 1910.
"Piccolo poema dei nostri giorni", Giuntini-Bentivoglio, Siena 1918.
"La radice e la fronda", La Italiana, Roma 1930.
"Tre paesi, tre canti", Arti grafiche Pescatore, Foggia 1950.
"Esitazione della sera", Danesi, Roma 1951.
"Dietro l'opaca siepe", Amministrazione provinciale, Foggia 1979.
 


 
 
Presenze in antologie
"Novissima antologia", a cura di Pasquale Ceravolo, Tip. Carrara, Bergamo 1929 (pp. 281-285).
 
 
 
Testi
STILLICIDIO

Oh questa goccia
che stilla
giù da la doccia
tranquilla
secca ed eguale
come uno strale!

Oh questa goccia
che batte
su le disfatte
mie tempie come un martello,
questo succhiello
che punge fora
divora!

Tarlo tenace
che picchia
rosicchia
nello squallore
notturno del cuore
che non ha pace,
pietà!

Pietà, non stillare
più!
Pietà, non picchiare
più!
Pietà, non forare
più!

Notte, e tu avvolgimi nelle
tue sciarpe di stelle,
ripetimi il canto
lontano della mia culla,
rinnova l'incanto
smarrito della fanciulla
età,
dammi tu l'oblivioso
riposo,
pietà!

(Da "La radice e la fronda")

giovedì 6 dicembre 2012

Il cipresso nella poesia italiana decadente e simbolista

La simbologia del cipresso, come si può facilmente intuire, è strettamente connessa all'oltretomba e la presenza di questi alberi nei cimiteri lo dimostra. Il cipresso, sempre per lo stesso motivo ma anche perchè sempreverde, rappresenta la vita eterna; la sua forma, che suggerisce un innalzamento verso il cielo, è stata collegata all'anima che sale verso il regno divino. In altri casi questo albero ha attinenza con la luce (perché la sua forma ricorda vagamente quella della fiamma) e con il dolore.
 
 
 
Poesie sull'argomento
Diego Angeli: "I cipressi legati" in "L'Oratorio d'Amore" (1904).
Enrico Cavacchioli: "Convegno tra i cipressi" in "L'Incubo Velato" (1906).
Guelfo Civinini: "L'albero che ascolta" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Adolfo De Bosis: "Cipressi isnelli..." in "Amori ac silentio e Le rime sparse" (1914).
Diego Garoglio: "Spiriti fraterni" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "Il convegno dei cipressi" in "Il convegno dei cipressi" (1894).
Domenico Gnoli: "Tra i cipressi" in "Nuove odi tiberine" (1885).
Domenico Gnoli: "Il cipresso" in "Fra terra e astri" (1903).
Corrado Govoni "I cipressi e le rose" e "Il cipresso" in "Gli aborti" (1907).
Arturo Graf: "Al cipresso" in "Le Danaidi" (1897).
Giuseppe Lipparini: "Cipressi" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).
Fausto Maria Martini: "In cordis vigilia" e "Il cipresso" in "Le piccole morte" (1906).
Pietro Mastri: "Il cipresso inghirlandato" in "La Meridiana" (1920).
Aldo Palazzeschi: "Guardie di notte" in "Poemi" (1909).
Giovanni Pascoli: "Il cuore del cipresso" in "Myricae" (1900).
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi: "Il cipresso" in "Sonetti e poemi" (1910).
Aurelio Ugolini: "Inter viburna cupressi..." in "Viburna" (1905).
 
 
 
 
Testi
IL CIPRESSO
di Domenico Gnoli

Ho abbracciato coll'anima un fosco
obelisco vivente, un cipresso
solitario sull'erma collina
nella luce vespertina.
L'ho penetrato l'ho vissuto
tutto, dal tronco all'acuto
vertice; colle serpenti
radici dalle latenti
mammelle della terra madre
ho succhiato. coll'umore
della vita, l'amore
e il dolore.

Per rimmobilità del mio tronco,
de' miei rami, dell'irte fogliuzze
aspiranti il sereno e la piova,
su su per la mia nova
funerea compostezza
saliva una tenerezza
di cari morti, una tristezza
di passato, un senso d'addio,
un desiderio d'oblio.

A un soffio soave di vento
dondolavo la cima con lento
abbandono, accennavo un saluto
al silenzio disteso
dall'azzurro lontano del monte
a' pascoli verdi, all'acceso
giro dell'orizzonte.
Solo, non udita
da alcuno, pigolava una vita
di gemiti e piccoli stridi
dal tepore de' nidi
nascosti amorosamente
dentro le fide làtèbre
della vita dolente.

(Da "Poesie edite e inedite")

mercoledì 5 dicembre 2012

Da "Rassegnazione" di Luigi Capuana

La mia timidezza proveniva, in gran parte, dal convincimento della inferiorità fisica a cui mi credevo condannato, e dal sentimento della mia inferiorità intellettuale che giudicavo dovesse risultare da quella.
Non già che io mi stimassi uno sciocco, no; sapevo benissimo quel che valevo; valevo quanto molti altri. Ma che importava? Non valevo però tanto da essere assai più di molti altri. Misuravo la distanza frapposta tra quel che sapevo di essere e quel che avrei voluto e non avrei potuto mai essere, e mi sentivo preso da scoraggiamento che mi rendeva eccessivamente severo con me stesso, fino a farmi giudicare inutile qualunque sforzo, anzi inutile la vita medesima! Avrei voluto essere un braccio, una mano; e potevo appena fare la funzione di un meschino strumento in mano altrui, caso che ci fosse stato chi avesse voluto adoprarmi in qualche umile circostanza. Non sapevo rassegnarmi.
In quei quattro anni, ero passato per una serie di prove tentate una dietro all'altra, non la speranza che, forse, quando meno me l'attendevo e da dove meno l'attendevo, sarebbe venuta fuori la coscienza della mia vita, la ragione del mio avvenire.
Ecco, invece, quel che n'era venuto fuori.
Ma prima debbo dire di un'altra anomalia del mio organismo. Debole, ero poco sensibile; e avrei dovuto essere l'opposto.
Non mi eccitavo per nulla; non avevo scatti di ribellione o di allegria, come gli altri fanciulli. Ripensando, oggi, le mie sensazioni di allora, rimettendomi con la immaginazione in quello stato, mi sento intorpidito, impacciato, incapace di ricevere intero l'urto delle impressioni esterne, di trasformarlo, di assimilarlo; quasi mi mancasse l'attitudine della resistenza, quasi i miei nervi fossero stati di bambagia.
Era proprio così. Tutto veniva a posarvisi, ad adagiarvisi cautamente, dolcemente, sofficemente. E non posso prolungar molto questo sforzo dell'immaginazione per rivivere la mia fanciullezza e spiegarmela. Soffro ora quel che non soffrivo allora; mi sento mancar l'aria, mi sento imprigionato dentro me stesso; e mi vengono le lagrime agli occhi per quegli anni così smorti, così tristi, per quella, sto per dire, mia anticipata vecchiezza.


(Da "Rassegnazione", capitolo II, di Luigi Capuana)



Ecco un frammento di uno dei romanzi più riusciti dello scrittore siciliano Luigi Capuana (Mineo 1839 – Catania 1915). Come Il marchese di Roccaverdina, Rassegnazione va ritenuto uno dei più grandi capolavori del verismo; fu pubblicato per la prima volta sulla rivista Flegrea, in cinque puntate, tra  l’aprile ed il maggio del 1900. Uscì in volume soltanto nel 1907, grazie all’editore Treves di Milano. Il frammento che ho trascritto parla del travaglio interiore che contraddistingue il personaggio principale del romanzo.


Poeti dimenticati: Diego Angeli

Diego Angeli nacque a Firenze nel 1869 e morì a Roma nel 1937. Grande appassionato di arte, approfondì i suoi studi nel settore trasferitosi a Roma. Qui strinse amicizia con Gabriele D'Annunzio e Adolfo De Bosis. Collaborò a varie riviste tra le quali spiccano "Il Convito", "Capitan Fracassa" e "Il Marzocco". Fu poeta dannunziano e decadente in alcune raccolte poetiche uscite nel decennio compreso tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. In seguito si dedicò alla scrittura di romanzi, novelle e saggi di ottimo valore.



 
 
 
Opere poetiche
"La città di vita", Premiata tip. dell'Umbria, Spoleto 1896.
"L'oratorio d'amore, 1893-1903", Dante alighieri, Roma-Milano 1904.
 
 
 
Presenze in antologie
"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 16-17).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (Tomo primo, pp. 95-98).
 
 
 
Testi
LA MERIDIANA

Nel folto labirinto di mortelle che tante
primavere ha veduto col tempo ritornare,
sta la Meridiana come ultimo altare
di un nume agreste nella breve selva fragrante.

Intorno al fregio è scritto: FERISCON TUTTE QUANTE
L'ULTIMA UCCIDE. Ferma sotto il corso solare
l'asta di bronzo accenna l'ora. Passano rare
nubi che a volte velan l'obliato quadrante.

Forse un giorno lontano due pupille ansiose
scrutaron se mai l'ombra grave attingesse l'ora
e bramaron che il sole si fermasse là su.

Ahi quanti soli e quante lune sulle corrose
cifre ritracceranno lo stesso segno ancora
senza che ormai nessuno se ne interessi più!

(dalla rivista "Nuova Antologia")

lunedì 3 dicembre 2012

Antologie: "Natale dei Poeti"

"Natale dei Poeti. Cento modi di leggere il Natale nella poesia italiana del Novecento" è il titolo di una antologia poetica curata da Giovanni Battista Gandolfo e Luisa Vassallo, e pubblicata da Àncora Editrice in Milano nel 2001. Sfogliando le 178 pagine di questo libro si trovano, dopo una breve introduzione, ben 100 poesie di 65 poeti italiani (compresi i dialettali) sull'argomento "Natale" tratte da opere in versi pubblicate nell'arco dell'intero XX secolo. Vi compaiono poeti diversissimi fra loro, sia per data di nascita che per modus poetandi, ivi compresi i nomi dei due curatori. In verità, leggendo le poesie dell'antologia, ci si accorge che l'attenzione non è centrata sul solo evento natalizio, ma spazia in un arco temporale che parte dall'Annunciazione e giunge fino all'Epifania, rimanendo sempre e comunque nell'ambito delle feste prettamente religiose. Sorpresa molto gradita (almeno per me) è ritrovare versi di poeti che per lungo tempo sono stati trascurati o addirittura ignorati, malgrado i loro versi, ancora oggi, posseggano un fascino non indifferente; si parla in questo particolare contesto di Angiolo Silvio Novaro, Sebastiano Satta, Ada Negri, Luigi Orsini, Domenico Giuliotti e Enrico Pea: poeti le cui opere sono oggi introvabili. Ecco infine l'elenco completo dei nomi dei lirici presenti in "Natale dei Poeti".
 
 



Giovanni A. Abbo, Cesare Angelini, Renzo Barsacchi, Divo Barsotti, Carlo Betocchi, Elena Bono, Marcello Camilucci, Cristina Campo, Giorgio Caproni, Giuseppe Cassinelli, Giuseppe Conte, Antonio Corsaro, Giovanni Cristini, Raffaele Crovi, Mario Dall'Arco, Gabriele D'Annunzio, Gherardo Del Colle, Libero De Libero, Salvatore Di Giacomo, Danilo Dolci, Luigi Fallacara, Elio Fiore, Alberto Frattini, Giovanni Battista Gandolfo, Alfonso Gatto, Luca Ghiselli, Domenico Giuliotti, Corrado Govoni, Guido Gozzano, Adriano Grande, Margherita Guidacci, Marco Guzzi, Renzo Laurano, Luciano Luisi, Mario Luzi, Biagio Marin, Eugenio Montale, Marino Moretti, Roberto Mussapi, Ada Negri, Angiolo Silvio Novaro, Arturo Onofri, Luigi Orsini, Alessandro Parronchi, Giovanni Pascoli, Pier Paolo Pasolini, Enrico Pea, Marino Piazzolla, Antonia Pozzi, Salvatore Quasimodo, Clemente Rebora, Davide Rondoni, Umberto Saba, Rocco Scotellaro, Vittorio Sereni, Ettore Serra, Maria Luisa Spaziani, Giovanni Testori, Trilussa, David Maria Turoldo, Giuseppe Ungaretti, Diego Valeri, Vann'Antò, Luisa Vassallo, Andrea Zanzotto.

Antologie: "Natale in poesia"

Tra le molte antologie dedicate alle poesie sul Natale mi pare opportuno segnalare "Natale in poesia. Antologia dal IV al XX secolo", a cura di Luciano Erba e Roberto Cicala, Interlinea, Novara 2000. Si parte da Efrem di Siro, vescovo di Mesopotamia che scrisse inni e poesie in siriaco, e che è qui presente con un immaginario dialogo tra la Madonna ed i Re Magi, per giungere fino a Gianni Rodari, scrittore per l'infanzia di cui qui si può apprezzare una delle ottime "Filastrocche in cielo e in terra". Nel mezzo altre 64 composizioni in versi di poeti italiani (anche dialettali) e stranieri, con netta prevalenza di coloro che vissero e scrissero tra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento. Interessante la presentazione dell'opera da parte di Luciano Erba, grande poeta italiano purtroppo recentemente scomparso. Ecco, concludendo, i nomi dei poeti presenti in "Natale in poesia".
 


 
Efrem Siro, Ambrogio, Anonimo (autore di "Heliand"), Iacopone da Todi, Vittoria Colonna, Anonimo (XIV secolo), Juan de la Cruz, Lope de Vega, Alfonso Maria de' Liguori, William Wordsworth, Novalis, Alessandro Manzoni, Giuseppe Gioacchino Belli, Heinrich Heine, Elias Lönnrot, Théophile Gautier, Coventry Patmore, Thomas Hardy, Paul Verlaine, Giovanni Pascoli, Francis Thompson, Salvatore Di Giacomo, Jules Laforgue, Gabriele D'Annunzio, Miguel de Unamuno, William Butler Yeats, Jens Johannes Jørgensen, Sebastiano Satta, Francis Jammes, Paul Claudel, Edmond Rostand, Charles Péguy, Rainer Maria Rilke, Max Jacob, Hans Carossa, Juan Ramon Jiménez, William Carlos Williams, Guido Gozzano, Umberto Saba, Ezra Pound, Diego Valeri, Cesare Angelini, Ernst Wiechert, Giuseppe Ungaretti, Thomas Stearn Eliot, Pierre Reverdy, Boris Pasternak, Biagio Marin, Jorge Guillén, Edward Estlin Cummings, Eugenio Montale, Adriano Grande, Bertolt Brecht, Carlo Betocchi, Salvatore Quasimodo, André Frénaud, Wystan Hugh Auden, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto, Vittorio Sereni, Piero Bigongiari, Thomas Merton, David Maria Turoldo, Robert Lowell, Gianni Rodari.