giovedì 9 febbraio 2012

La villa chiusa


LA VILLA CHIUSA

Chiusa è la villa, chiusa immezzo al verde
del giardino diserto, ove traligna
ogni arbusto: tra fior spunta gramigna
folta, e li avvince, soffoca, disperde.

Or, poi che vien con sue dolcezze il Maggio,
poi che la terra tutta è in fiore, è in festa,
nel raggio che lo avvolge e lo ridesta,
anche il giardino si fa più selvaggio.

Mescon le aiuole i fior, gli alberi i rami
intralcian, con sì stretto allacciamento,
che sgiungerli non può forza di vento:
più verde cresce l'erba in su gli strami.

La glicinia s'allunga, con la fronda,
dai cancelli a la casa; e qua s'appiglia
ai balconi, pei muri s'attorciglia
e corona di fior tutta la gronda.

Così la villa del mio sogno, chiusa
fra tanta grazia, in un incanto è avvolta,
e quei che sosta e scruta avido e ascolta,
tutto di sé, del suo mister ricusa.

Io fantastico in un mio sogno intento.
non dorme la fanciulla in tra le mura?
non forse il cavalier senza paura
verrà a destarla da l'incantamento?
 
 
"La villa chiusa" è una delle poesie incluse nell'unica raccolta di versi di Carlo Chiaves (1882-1919) che uscì nel 1910 col titolo di "Sogno e ironia". L'argomento della villa chiusa e abbandonata è costante in certa poesia di gusto decadente e simbolista; per rimanere alla sola Italia, si potrebbero citare a tal proposito i nomi di Luigi Gualdo, Cosimo Giorgieri-Contri, Guelfo Civinini e Corrado Govoni, i quali nelle loro poesie, hanno più di una volta parlato di ville, case, palazzi spesso in rovina o comunque in abbandono, magari circondati da vasti giardini o da parchi, anch'essi in stato di degrado. Il significato intrinseco di questi soggetti va riferito sia al rimpianto di un passato felice (nel caso della poesia sopra riportata è il periodo infantile) sia alla figurazione dell'anima: un'anima disperata o almeno intristita, che l'edificio in rovina ben rappresenta.

mercoledì 8 febbraio 2012

Poeti dimenticati: Valerio Abbondio

Valerio Abbondio nacque ad Ascona nel 1891 e morì a Minusio nel 1958. Poeta ticinese, si laureò in Lettere a Friburgo per poi professare l'insegnamento fino a sessant'anni. Collaborò alla rivista "Pagine nostre" e pubblicò vari volumi di versi in cui si rileva, soprattutto nelle prime poesie, un intimismo nei temi e un classicismo nella forma; nelle opere della maturità la lirica di Abbondio tende maggiormente alla brevità ed alla musicalità.
 
 
Opere poetiche
"Betulle", Libreria Arnold, Lugano 1922.
"L'eterna veglia", Grassi e Co, Lugano 1928.
"Campanule", I. E. T., Bellinzona 1932.
"Il mio sentiero", I. E. T., Bellinzona 1936.
"L'intimo cielo", Tip. Ed. S. A., Lugano 1940.
"Silenzi", Melisa, Lugano 1943.
"Cerchi d'argento", Melisa, Lugano 1944.
"Cuore notturno", Mazzucconi, Lugano 1947.
 





Presenze in antologie
"Adunata della poesia", seconda edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. 17-18).
"Antologia della Poesia Italiana Cattolica del Novecento", UPSCI, Roma 1959 (271-272).
"Cento anni di poesia nella Svizzera italiana", Seconda edizione, a cura di Giovanni Bonalumi, Renato Martinoni e Pier Vincenzo Mengaldo, Arnoldo Dadò, Locarno 1997 (pp. 81-91).

martedì 7 febbraio 2012

L'alba nella poesia decadente e simbolista italiana

Se è vero che, parlando in generale, nell'arte l'alba ha avuto spesso il significato di una rinascita spirituale, nella poesia decadente e simbolista italiana ciò non sempre equivale a realtà; analizzando alcune poesie sull'argomento, ecco per esempio "Alba festiva" di Giovanni Pascoli, dove il poeta descrive il suono di più campane che, a seconda del loro timbro, vogliono simboleggiare la fede, il desiderio e la morte. Piena di simboli oscuri è "La visitazione" di Gabriele D'Annunzio. In "Su l'alba" di Alessandro Giribaldi ci sono messaggi misteriosi e visioni; in una poesia di Italo Dalmatico si parla di uomini che osservano la luce dell'alba con speranza e riverenza. In "Alba d'inverno" di Antonino Anile c'è un paesaggio spettrale che suscita pensieri sinistri e funerei. Triste è infine l'atmosfera di "Un riso nell'alba" di Guelfo Civinini dove i malati agonizzanti, sul fare dell'alba, hanno una illusoria speranza di guarigione.
 
 
Poesie sull'argomento
Antonino Anile: "Alba d'inverno" in "Poesie" (1921).
Enrico Cavacchioli: "All'alba" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Giovanni Alfredo Cesareo: "Alba lunare" in "Poesie" (1912).
Guelfo Civinini: "Un riso nell'alba" in "I sentieri e le nuvole" (1911).
Gabriele D'Annunzio: "La visitazione" in "L'Isotteo. La Chimera" (1890).
Italo Dalmatico: "Alba. E si spera..." in "Juvenilia" (1903).
Luisa Giaconi: "L'alba" in "Tebaide" (1909).
Cosimo Giorgieri Contri: "Alba montana" in "Primavere del desiderio e dell'oblio" (1903).
Alessandro Giribaldi: "Su l'alba" in "I canti del prigioniero e altre liriche" (1940).
Corrado Govoni: "L'alba" e "Alba" in "Gli aborti" (1907).
Tito Marrone: "Alba" in "Cesellature" (1899).
Fausto Maria Martini: "Consiglio dell'alba" in "Poesie provinciali" (1910).
Pietro Mastri: "L'alba, una vasta ondata" in "L'arcobaleno" (1900).
Nino Oxilia: "Alba che sorgi, salute!..." in "Canti brevi" (1909).
Enrico Panzacchi: "Sub galli cantum" in "Poesie" (1908).
Giovanni Pascoli: "Alba festiva" in "Myricae" (1900).
Alice Schanzer: "Alba in Valdarno" in "Motivi e canti" (1901).
Diego Valeri: "Alba" in "Crisalide" (1919).
Alessandro Varaldo: "L'alba" in "Marine liguri" (1898).
Giuseppe Villaroel: "Elegia del Risveglio" in "La tavolozza e l'oboe" (1918).
 
 
Testi
SU L'ALBA

Stanotte – su l'alba – dormivo
una fiorita di sogni...
Un sonno leggero; e sentivo
battere su la finestra.

Chi batte? Chi batte? Sei tu?
Sei tu, mia pensosa?
Sei tu (le tue dita di rosa?)
che vieni a trovarmi quassù?

Discesi - con gli occhi nel sogno –
dal letto, cercando su i vetri
l'amore... e il tuo volto.
Non c'eri. Mi posi in ascolto.

Ancora? Chi batte? Non c'eri...
Ma c'era un verdone, sperduto
anch'esso nell'ombra. – Che cerchi?
Rispose: ti porto un saluto.

Ti porto un sospiro, da lungi,
ti porto una lacrima, un bacio.
La vidi: guardava sul mare...
diceva: non giungi, non giungi?

(Da "I canti del prigioniero e altre liriche" di Alessandro Giribaldi)

lunedì 6 febbraio 2012

Cinque epigrammi sull'inverno

Esorcizzare la stagione invernale con 5 epigrammi spiritosi: questo è un tentativo per rendere meno crudele e maggiormente accattivante questo periodo dell'anno particolarmente difficile per svariati motivi. E che l'inverno possa passare in un baleno!



L'INVERNO
Di Giovanni Gherardo De Rossi

Da quel foco ti scosta, in questa face
assai più dolce troverai calore,
disse all'Inverno Amore.
Ma il vecchio replicò: lasciami in pace,
so quanto all'età mia debile e frale
la tua fiamma è fatale.
 
 


PRESO DAL FREDDO...
di Giacomo Leopardi

Preso dal freddo, Empedocle gittossi
nell'Etna ardente: una simil pazzia
forse in estate fatta non avria.
 


 
LE STAGIONI
di Renato Fucini

Dicea la Primavera: «Io porto amore
e ghirlande di fiori e di speranza».
Dicea l'Estate: «Ed io, col mio tepore,
scaldo il seno fecondo dell'abbondanza».
Dicea l'Autunno: «Io spando a larga mano
frutti dorati alla collina e al piano».
Sonnecchiando, dicea l'Inverno annoso:
«Penso al tanto affannarvi, e mi riposo».
 


 
OGGI CH' È IL SEI
di Ernesto Ragazzoni

Oggi ch'è il sei
Dio degli Dei,
è Santa Brigida,
giornata rigida...
e... vilipendio,
non c'è stipendio!...
 


 
BREVE STORIA
di Leonardo Sinisgalli

Piovve tutto l'inverno quell'anno
di scuola, di chiesa, di cortile.
A quell'età bisognava morire.

domenica 5 febbraio 2012

Le acque ferme nella poesia decadente e simbolista italiana

Le acque ferme, spesso rappresentate nella poesia simbolista dalla palude e, più raramente, dallo stagno, simboleggiano una situazione esistenziale statica, di totale immobilità. Questa situazione di stasi è in genere portatrice di sventura che si materializza soprattutto in malattia (e esistevano ancora, un centinaio di anni fa, in alcune zone palustri della penisola, molti casi di febbre e di malaria), la quale, conseguentemente, è causa di morte. Non trascurabile è anche il riferimento ad una regressione individuale; c'è infine da tener presente anche un altro aspetto: l'acqua ferma può far da specchio a chi si sporge verso di essa, ecco perciò spiegati alcuni rimandi allo specchio e quindi al proprio inconscio.
 
 
Poesie sull'argomento
Alfredo Baccelli: "Palude romana" in "Poesie" (1929).
Giovanni Camerana: "Maremma" in "Poesie" (1968).
Enrico Cavacchioli: "Il pozzo" in "Le ranocchie turchine" (1909).
Francesco Cazzamini Mussi: "Lo stagno" in "I Canti dell'adolescenza (1904-1907)" (1908).
Gabriele D'Annunzio: "Nella belletta" in "Alcyone" (1904).
Cosimo Giorgieri Contri: "Argine del Brenta" in "Mirti in ombra" (1913).
Alessandro Giribaldi: "Giglio Solitario" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).
Guido Gozzano: "Domani" in "Il Piemonte", dicembre 1904.
Arturo Graf: "All'acqua morta" in "Le Rime della Selva" (1906).
Marco Lessona: "Stagno" in "Versi liberi" (1920).
Giuseppe Lipparini: "Al pozzo" in "Stati d'animo e altre poesie" (1917).
Mario Malfettani: "Lo Stagno" in "Il 1° libro dei trittici" (1897).
Remo Mannoni: "La palude" in «Marforio», luglio 1903.
Marino Marin: "I riflessi de l'acqua" in "Il Marzocco", luglio 1897.
Marino Marin: "Le acque rettili" in «Nuova Antologia», luglio 1903
Pietro Mastri: "L'acqua e la stella" in "L'arcobaleno" (1900).
Nino Oxilia: "Col tremolante ventre al sole..." in "Canti brevi" (1909).
Salvatore Quasimodo: "Acquamorta" in "Notturni del re silenzioso" (1989).
Antonio Rubino: "Accidia palustre" in "Versi e disegni" (1911).
Giovanni Tecchio: "Palude" in "Canti" (1931).
 
 
Testi
PALUDE ROMANA

Su la deserta vetustà degli archi
in rosso foco il vespero s'indugia:
nel piano brullo, interminato, stagna
plumbea palude.

Di fra le canne fischia 'l piviere:
gracchia la rana da le verdi muffe:
di malta e strame, povere capanne
sorgono a ripa.

Lividi aspetti, misere parvenze:
lungi, la mandra di lunate corna
il cavalcante bùttero compone,
pungendo a tergo.

Ultimo un colpo dalla caccia s'ode,
mentre la notte desolata cala.
Batte la Febbre a l'umide capanne:
la Morte passa.

(Da "Poesie" di Alfredo Baccelli)

Poeti dimenticati: Giovanni Alfredo Cesareo

Giovannni Alfredo Cesareo nacque a Messina nel 1860 e morì a Palermo nel 1937. Poeta e critico letterario, si laureò in Giurisprudenza; iniziò ad insegnare alle scuole medie, poi ottenne una cattedra di letteratura italiana all'Università di Palermo; si occupò anche di estetica e pubblicò un saggio dichiaratamente anticrociano. La sua opera poetica mostra influssi classicisti e decadenti.
 
 
Opere poetiche
"Sotto gli aranci", David, Ravenna 1881.
"Don Juan", Giannotta, Catania 1883.
"Le Occidentali", Triverio, Torino 1887.
"Gl'inni", Giannotta, Catania 1895.
"Le consolatrici", Sandron, Milano 1905.
"Poesie", Zanichelli, Bologna 1912.
"I canti di Pan", Zanichelli, Bologna 1920.
"I poemi dell'ombra", Zanichelli, Bologna 1923.
"Colloqui con Dio", Zanichelli, Bologna 1928.
"Luci e Ombre", Trimarchi, Palermo 1937.
 
 
Presenze in antologie
"Dai nostri poeti viventi", 3° edizione, a cura di Eugenia Levi, Lumachi, Firenze 1903 (pp. 101-108).
"I Poeti Italiani del secolo XIX", a cura di Raffaello Barbiera, Treves, Milano 1913 (pp. 1272-1277).
"Antologia della lirica italiana", a cura di Angelo Ottolini, R. Caddeo & C., Milano 1923 (pp. 337-338).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. II, pp. 73-81).
"Adunata della poesia", seconda edizione, a cura di Arnolfo Santelli, Editoriale Italiana Contemporanea, Arezzo 1929 (pp. 142-146).
"La poesia italiana di questo secolo", a cura di Pietro Mignosi, Ciclope, Palermo 1929 (pp. 37-42).
"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 94-100).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 67-69).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 166-168).
"Poeti minori del secondo Ottocento italiano", a cura di Angelo Romanò, Guanda, Bologna 1955 (pp. 352-358).
"I poeti minori dell'Ottocento", a cura di Ettore Janni, Rizzoli, Milano 1955-1958 (vol. IV, pp. 242-256).
"Un secolo di poesia", a cura di Giovanni Alfonso Pellegrinetti, Petrini, Torino 1957 (pp. 134-136).
"Antologia della Poesia Italiana Cattolica del Novecento", UPSCI, Roma 1959 (pp. 67-70).
"Poeti minori dell'Ottocento italiano", a cura di Ferruccio Ulivi, Vallardi, Milano 1963 (pp. 725-733).
"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. III, pp. 67-74).
"L'altro Novecento, Volume V", a cura di Vittoriano Esposito, Bastogi, Foggia 1999 (pp. 34-35).
"Sicilia, poesia dei mille anni", a cura di Aldo Gerbino, Sciascia, Caltanissetta-Roma 2001 (pp. 352-354).
 
 
Testi
CAMPANA A SERA

O arcana
Campana
Lontana,

Che in questo silenzio de' campi t'effondi
Con dondi gementi, soavi, profondi,
E i sensi d'ignara mestizia confondi,

O arcana
Campana
Lontana,

Qual'onda di sogni, d'amari rimpianti,
Tu al core mi mandi, ma incerti, ma erranti,
Ma solo all'umana tua voce balzanti!

O arcana
Campana
Lontana,

È l'ora che l'ombre si fanno maggiori,
E affiocano i trilli de' grilli sonori;
È l'ora che han tregua nel sonno i dolori.

O arcana
Campana
Lontana,

Divina è la pace che piove da' cieli :
S'inclinano i fiori su gli umili steli,
E orano in coro le rane fedeli.

O arcana
Campana
Lontana,

Ma erede d'oscuri misfatti che sento
Nel petto echeggiarmi con lungo lamento
Io solo, se t'odo, più cupo divento,

O vana campana che muori nel vento.

(Da "Le consolatrici")

sabato 4 febbraio 2012

Le acque correnti nella poesia decadente e simbolista italiana

Le acque correnti rappresentate da ruscelli, torrenti, canali o cascate simboleggiano una situazione di rinnovamento o comunque in divenire. Analizzando alcune poesie, in "Quiete" di Umberto Saffiotti, è possibile notare un effetto ipnotico provocato dallo scrosciare delle acque, che porta il poeta ad uno stato di estasi e di sogno. In una poesia di De Bosis le acque scorrono con sinistro rumore e trasportano cadaveri, questo orrendo spettacolo è offerto, come lo stesso poeta chiarisce negli ultimi versi, dal "Fiume del Tempo". "Il Canale" di Domenico Tumiati, descrive un'atmosfera incantata: sul corso d'acqua passa una barca di pescatori ed il poeta sente il loro canto malinconico e ne rimane affascinato. Luigi Gualdo da' ascolto ad una voce misteriosa che fuoriesce dalle acque di una cascata, la quale gli suggerisce di far scorrere, dalla sorgente della sua anima, l'acqua dell'amore eterno. Sia Marin che Govoni nei loro sonetti parlano di canali le cui acque scorrono lente e placide, ma nel primo la calma del corso d'acqua, apparentemente innocua, è in realtà portatrice di malattie. Pietro Mastri infine, osservando le acque di un torrente, scorge la propria inquieta anima e gli chiede il motivo di questo suo perpetuo andare.
 
 
Poesie sull'argomento
Mario Adobati: "Lo specchio tra le ninfee" in "I cipressi e le sorgenti" (1919).
Pompeo Bettini: "La roccia ha visto molt'acqua passare" in "Poesie" (1897).
Carlo Chiaves: "La sorgente" in "Tutte le poesie edite e inedite" (1971).
Adolfo De Bosis: "Rombano acque correnti per la tenebra" in "Amori ac silentio sacrum" (1900).
Diego Garoglio: "Il rivolo" in "Sul bel fiume d'Arno" (1912).
Cosimo Giorgieri Contri: "Alla Lys" in «Nuova Antologia», ottobre 1907.
Corrado Govoni: "Il canale" in "Gli aborti" (1907).
Luigi Gualdo: "La cascata" in "Le Nostalgie" (1883).
Giorgio Lais: "Il ruscello" in "La Vita Letteraria", luglio 1905.
Marino Marin: "Il canale" in «Nuova Antologia», luglio 1903.
Pietro Mastri: "Il torrente" in "L'arcobaleno" (1900).
Fausto Salvatori, "L'Acqua" in "In ombra d'amore" (1929).
Domenico Tumiati: "Il Canale" in "Musica antica per chitarra" (1897).
Domenico Tumiati: "Canzone del torrente" in "Liriche" (1937).
Umberto Saffiotti: "Quiete" in "Le Fontane" (1902).

 

Testi
IL CANALE

Stanco, ne la sua lunga uggia, il canale
d'andar per valli e di veder paesi,
se accade che, al frinir de le cicale,
ristagni sotto i salici cortesi.

sembra, tant'è silenzioso e uguale,
un olio che alimenti i cieli accesi ;
e, a notte chiara, dal suo grembo sale
un lucicchìo di perle e di turchesi.

Non baciò mai più terse acque la luna
nè venne mai da' salici d'argento
più dolce tenerezza a le palpebre:

un sogno: e dir che quante nebbie aduna
l'alba, tra le due rive, e caccia il vento,
Circe fatale, attossica la febre.

(Marino Marin)