domenica 20 novembre 2011

Poeti dimenticati: Nicola Moscardelli


Piatto anteriore di "Le grazie della terra"

Nicola Moscardelli (Ofena 1894 - Roma 1943) è stato un poeta, un prosatore ed un saggista italiano. I suoi versi iniziali si può ben dire che siano ispirati al crepuscolarismo; successivamente Moscardelli si avvicinò alla poetica futurista e, in parte, risentì dell'influenza vociana. Nella parte più matura del suo fare poetico si notano invece uno spiccato misticismo ed una tendenza a sottolineare l'aspetto più sofferente della vita umana.
 
 


Opere poetiche

 

"La Veglia", Unione Arti Grafiche, L'Aquila 1913.
"Abbeveratoio", Libreria de «La Voce», Firenze 1915.
"Tatuaggi", Libreria de «La Voce», Firenze 1916.
"Gioielleria notturna", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1918.
"La mendica muta", Vallecchi, Firenze 1919.
"L'ora della rugiada", Carabba, Lanciano 1924.
"Le grazie della terra", Carabba, Lanciano 1928.
"Il Ponte", Al Tempo della Fortuna", Roma 1929.
"L'aria di Roma", Buratti, Torino 1931.
"Foglie e fiori", Modernissima, Roma 1938.
"Canto della vita", Vallecchi, Firenze 1939.
"Punti cardinali", Ticci, Siena 1941.
"Dentro la notte", Il Sentiero dell'Arte, Pesaro 1942.
"Tutte le poesie", Ianieri, Pecara 2007.
 
 

Presenze in antologie 

"Poeti d'oggi: 1900-1925", 2° edizione, a cura di Giovanni Papini e Pietro Pancrazi, Vallecchi, Firenze 1925 (pp. 712-714).
"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 5, pp. 91-103).
"La nuova poesia religiosa italiana", a cura di Gino Novelli, La Tradizione, Palermo 1931 (pp. 269-275).
"Antologia della lirica contemporanea dal Carducci al 1940", a cura di Enrico M. Fusco, SEI, Torino 1947 (pp. 297-299).
"Antologia della lirica italiana. Ottocento e Novecento", nuova edizione, a cura di Carlo Culcasi, Garzanti, Milano 1947 (pp. 360-361).
"L'antologia dei poeti italiani dell'ultimo secolo", a cura di Giuseppe Ravegnani e Giovanni Titta Rosa, Martello, Milano 1963 (pp. 757-762).
"Le cinque guerre: poesie e canti italiani", a cura di Renzo Laurano e Gaetano Salveti, Nuova Accademia, Milano 1965 (p. 66).
"I crepuscolari", a cura di Nino Tripodi, Edizioni del Borghese, Milano 1966 (pp. 491-497).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 545-550).
"I poeti italiani della «Voce»", a cura di Paolo Febbraro, Marcos y Marcos, Milano 1998 (pp. 182-184).
"Le notti chiare erano tutte un'alba", a cura di Andrea Cortellessa, Bruno Mondadori, Milano 1998 (p. 372).
 

 

Testi


LA TORRE VIOLA

(Una piccola stanza disadorna, sulla cui soglia muoiono i rumori, quasi spaventati dalla solitudine che li attende, C è una finestra che dà forse sul mare, spenta. Una mezz'ombra vagola come un gatto per i vani: come uno se ne colma, l'altro si vuota. Flusso e riflusso senza rumore.
Nell' infinito del mondo, fermiamoci fra queste quattro mura, dove il soffio dell'esterno giunge assopito come un vento che ha passato il mare e l'ha addomesticato, stancandosi. A poco a poco, proiettate dall'ardore dell'anima che si esprime, compaiono Mimma, Ottavio e Arturo : spiriti d'ogni tempo e d'ogni età. La luce della loro lampada ha cambiato colore ed essi credono sia spenta. Le parole che si concedono sono come colpi di selce contro l'abete secco: e il loro parlare li rivela fanciulli intatti non ancora arsi dalle crude stagioni della vita).
(Da "La mendica muta")

venerdì 18 novembre 2011

Poeti dimenticati: Virgilio La Scola


Piatto anteriore di "La placida fonte"

Virgilio La Scola (Palermo 1869 - ivi 1927) fu autore di poche raccolte poetiche; ebbe come maestri principalmente Giovanni Pascoli ed i corregionali Mario Rapisardi e Giovanni Alfredo Cesareo. Le sue poesie sono, spesso, di argomento religioso e sociale, ma non manca quella attenzione alle "piccole cose" così frequente anche nei versi del Pascoli. Le sue opere furono lodate da insigni critici tra i quali lo stesso Cesareo e Pietro Mignosi che così ne parla in "La poesia di questo secolo" (Edizioni del Ciclope, Palermo 1929): «Fu un pascoliano pieno di accortezza. Rinomato e carezzato in vita, è caduto, ora, dalla memoria di tutti. Fu carissimo al Pascoli e del Pascoli ebbe quel certo tono d'indulgenza sociale e di oscura palingenesi che ben si intona a quel fervore socialistico dei primi anni del secolo».
 
 


Opere poetiche

 

"La tenue accolta", Sandron, Milano 1907.
"La placida fonte", Zanichelli, Bologna 1907.
"La via che attende", Reber, Palermo 1908.
"Nova anima umana", Bemporad, Firenze 1910.
"L'eterno dimane", Treves, Milano 1912.
 

 
Presenze in antologie
 

"Poeti simbolisti e liberty in Italia", a cura di Glauco Viazzi e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller, Milano 1967-1972 (vol. 2, pp. 157-160).
"Sicilia, poesia dei mille anni", a cura di Aldo Gerbino, Sciascia, Caltanissetta-Roma 2001 (pp. 369-371).

 
 

Testi

 
TRAMONTO ESTIVO

In unico afoso bagliore
Dileguano il mare ed il cielo:

L'immota caldura agli scogli
Addensa un fantastico velo...

Coll'ansia d'un fresco riposo,

Da lungi, al marino villaggio,
Accese due vele latine
Affannano un tardo viaggio.


Com'esse le nostre esistenze
Vagaro disperse in quest'ore:...
S'accostano, a un tratto, sfinite,
Di baci anelanti e d'amore...

E come le vele latine
Ci attira un pacato miraggio:
Avremo incantato riposo,
Stanotte, nel fresco villaggio.


(Da "La placida fonte")

domenica 13 novembre 2011

Racconto della stazione

Mi ritrovai alla stazione per un viaggio del quale io non sapevo nulla. Rimasi meravigliato quando vidi arrivare un treno di color giallo. Si fermò ed io entrai. Sbigottito guardai i passeggeri rendendomi subito conto che erano dei fantocci. Cominciai ad aver paura, mi chiedevo dove mai fossi finito quando il treno imboccò una galleria e rimasi al buio poiché il vagone in cui mi trovavo non aveva luce. Furono minuti e minuti d'angoscia, poi il tunnel terminò e fui abbagliato da una luce immensa. Mi pareva di entrare nel sole, tanto era il calore che m'invadeva; poi mi sentii carezzare il volto e udii una soave voce che disse: «Finalmente sei arrivato, da tanto ti attendevamo...»

sabato 12 novembre 2011

Racconto del laureato e del politico

E il laureato non riusciva a battere un chiodo. Allora, giunto ad una disperazione non più sostenibile, decise, contro la sua dignità, di andare a chiedere aiuto ad un politico. Dopo numerose richieste e interminabili attese riuscì ad essere ricevuto da un politico. Quando fu faccia a faccia con lui gli chiese, senza minimi indugi, un lavoro; al che il politico gli rispose:
«Vuoi un lavoro?, so che possiedi un titolo di studio importante, ma ciò che ti posso offrire non è certo adeguato a quello a cui probabilmente ambisci; però, se hai veramente bisogno di lavorare, allora puoi fare lo spazzino».
Il laureato, naturalmente, non aveva nei suoi progetti e nei suoi sogni quello di diventare uno spazzino e disse:
«Io la ringrazio, ma avrei preferito qualcosa di più adatto a me, non è possibile?»
E il politico:
«È possibile, ma trattasi di un posto da precario, con contratto a termine. Ogni anno questo scadrà, ma, se lei sarà meritevole, con molta probabilità le sarà rinnovato, e potrà andare avanti così per molti anni».
Disse allora il laureato:
«Ma io ho già quarant'anni, non posso permettermi di lavorare in questo modo!».
Gli replicò il politico:
«Caro signore, lei è incontentabile ed anche pretenzioso, io le ho offerto già due ottime possibilità e lei me le ha rifiutate. Sa cosa le dico? se ha veramente bisogno di lavorare le conviene accettare queste mie proposte, altrimenti se la sbrighi da solo. Arrivederci.».

giovedì 10 novembre 2011

Racconto dell'anima

Quel giorno entrai in un antico palazzo e salii le scale fino al settimo piano, dove trovai una porta sola, era quello dunque l'appartamento che cercavo, allora suonai il campanello e attesi, poco dopo sentii una voce stridula chiedere:
«Chi è?»
«Sono io» risposi,
e lei: «Io chi?»
pronunciai allora il mio nome e subitamente udii la persona di dietro alla porta togliere il catenaccio, poi la porta fu aperta e mi trovai davanti una vecchia signora dal volto rugoso e vestita di nero; mi sorrise dicendo:
«Prego, entri pure».
«Permesso?» io dissi e mi feci avanti, mi accorsi allora che c'era un salone semibuio, con una finestra che, chiusa, faceva trapelare, grazie ad una persiana rotta, un filo di luce.
Mi guardai intorno e vidi soltanto mobili vecchi, sentivo anche un forte odore di muffa e iniziai ad avere voglia di andarmene.
«Lo vuole un caffè?» mi chiese l'anziana signora
«No, grazie» risposi «ho fretta perchè devo fare molte altre cose...»
Allora lei disse: «Le porto subito quella cosa»
e si diresse verso un'altra stanza in fondo al salone, aprì la porta ed entrò, dopo pochi secondi tornò e in una mano teneva una lettera.
«Tenga» disse «questa è per lei»
«Grazie» le dissi, pur non sapendo che lettera mai fosse.
Salutai ed uscii da quel tristo tugurio, scesi le scale velocemente e mi sentii molto sollevato.
Camminando per la strada ancora pensavo alla vecchia, all'interno di quell'appartamento e provavo tristezza, desolazione, squallore.
Poi mi ricordai della lettera che nel frattempo avevo riposto nella tasca del soprabito. La aprii e lessi quello che vi era scritto, diceva:
«Caro Leonardo, tu oggi hai visitato la tua anima».

mercoledì 9 novembre 2011

Poeti dimenticati: Gino Gori

Nacque a Roma nel 1876 e morì a Sant'Ilario Ligure nel 1952. Dopo la laurea in Giurisprudenza cominciò a dedicarsi con assiduità alla letteratura e al teatro collaborando con suoi scritti a riviste quali "Capitan Fracassa", "Don Chisciotte", "L'Ora" e "Il Tirso". Amico di Trilussa, scrisse dei versi in dialetto romanesco. In seguito cominciò a viaggiare attraverso l'Europa, si sposò e quindi divenne proprietario di un albergo, si dedicò così alla sua nuova professione abbandonando l'attività letteraria. Le sue opere in versi mostrano una tendenza all'innovamento stilistico, mentre le tematiche ricalcano in parte quelle di Pascoli, Gozzano e Govoni, in parte quelle del realismo lirico, il cui artefice e iniziatore fu Massimo Bontempelli, molto stimato dal Gori.
 

Opere poetiche


"Er libbro rosso de la guera", Tipografia editrice nazionale, Roma 1915.
"Il mulino della luna", Alpes, Milano 1924.
"Il grande amore", Bemporad, Firenze 1926.





Presenze in antologie

"Le più belle pagine dei poeti d'oggi", 2° edizione, a cura di Olindo Giacobbe, Carabba, Lanciano 1928 (vol. 3, pp. 171-186).
"Poeti Novecento", Mondadori, Milano 1928 (pp. 89-102).



Testi

L'ALBERO LUMINOSO

Cresce come l'alba
quest'albero di madreperla,
e porta impigliati fra i rami
figure d'uomini e colori.
Stormisce che non si sente
coi nostri orecchi mortali,
ma già nell'anima passa
una musica che pare
come un silenzio di amore.
Cresce la pianta mattutina
con una fretta dorata,
empie gli spazi della terra
e l'infinito del cielo.
Tutti la chiamano luce,
ch'è il vero nome di Dio,
ma ella non è che la favola della luce,
e dura un giorno soltanto,
come la fanciullezza,
come l'amore,
come la vita dell'uomo,
ch'è una piccola lacrima
caduta
dagli occhi invisibili dell'eternità.


(da "Il mulino della Luna", pp. 30-31)




LA CULLA

Fatta di nuvole bianche,
foderata d'azzurro e di tepore,
galleggia ancorata
alla riva del fiume della vita,
la culla della nostra infanzia;
e la dondola il vento
dell'alba,
e vi cantano intorno
le Stagioni invisibili del tempo:
Ninna nanna dei giardini,
quanti gigli e gelsomini!
ninna nanna dei ruscelli,
tutti i giorni sono belli,
e il mistero non ci affanna,
ninna nanna, ninna nanna.

Non importa accendere una lampada,
la culla è luminosa;
non importa colmarla di fiori,
la culla è fiorita;
non importa vegliarla,
tutta la materna bontà del cielo
è curva sulla culla,
e le stelle hanno occhi dolcissimi,
che non si chiudono mai.

Vi riposammo un giorno.
Basta.
Ci risvegliammo supini
e non vedemmo che il cielo.
Basta.
Tendemmo le mani per ricevere
i doni dorati del sole.
Basta.
Questo soltanto è bastato
per battezzarci uomini.
Ché se più tardi parlammo,
ché se più tardi pensammo,
ché se più tardi soffrimmo,
questo fu nulla
dinanzi al guardare in alto
dal fondo della nostra culla.

(da "Il Grande Amore", pp. 59-60)

martedì 8 novembre 2011

Poeti dimenticati: Yosto Randaccio

Iosto Carmine Randacio, in arte Yosto Randaccio, nacque a Cagliari nel 1880 e morì a Roma nel 1965. Giovanissimo si trasferì dalla Sardegna alla capitale italiana per iscriversi alla facoltà universitaria di Lettere e Filosofia, durante le lezioni ebbe modo di conoscere poeti come Tito Marrone, Carlo Basilici e Giuseppe Piazza, coi quali instaurò un saldo rapporto di amicizia. Cominciò in quel periodo a scrivere e pubblicare i suoi versi che uscirono anche in riviste famose come "Riviera Ligure" e "La Vita Letteraria". Nel 1909 fu dato alle stampe l'unico suo volume poetico: "Poemetti della convalescenza". Nelle liriche di Randaccio si nota, oltre all'uso del verso libero, una rielaborazione dei temi cari al D'Annunzio ed ai crepuscolari.
 

Opere poetiche


"Poemetti della convalescenza", Tipografia Meloni Aitelli, Cagliari 1909.
 

Presenze in antologie


"I crepuscolari", a cura di Nino Tripodi, Edizioni del Borghese, Milano 1966 (pp. 385-396).
"Dal simbolismo al déco", a cura di Glauco Viazzi, Einaudi, Torino 1981 (tomo secondo, pp. 399-402).
"I crepuscolari", a cura di Francesco Grisi, Newton Compton, Roma 1990 (pp. 325-336).
"Neoidealismo e rinascenza latina tra Ottocento e Novecento", a cura di Angela Ida Villa, LED, Milano 1999 (pp. 772-817).
 

Testi 


CHIESA ABBANDONATA

Chiesa bianca solitaria,
sopita nel sogno de l'aria.

E le buone preghiere?
E le anime salmodianti,
e gli organi tuonanti
nel mistero de le sere?
Sento che spira un triste vento
d'esulamento.

Per dove? il mio cuore non sa,
anima de l'eternità.
La nostra tristezza chi la porta?
Quale gigante s'affatica
ne la lotta infinita
che non terminerà?

Tu pure sei morta!
Non lo senti stasera
nel vuoto di questa navata
desolata,
non lo senti questo vento
d'esulamento,
queste grida di suicida?


(Da "Poemetti della convalescenza")